UN POMERIGGIO A TEMPO PERSO
In una domenica di questo Maggio
Romano di campagna elettorale sono andato a trovare un vecchio amico all'Ospedale “Agostino Gemelli” in zona
Roma Nord/Pineta Sacchetti .
E’ un Ospedale famoso, pulito,
organizzato modernamente e con personale molto professionale,un Ospedale in
stile svizzero , ma pur sempre
un Ospedale ….
E’ immenso, con molte zone nuove di
zecca, corridoi ampi e pulitissimi , con finestroni ampi dai vetri lindi che si affacciano su quei panorami
incredibili che solo Roma, se la vedi da lontano, sa offrire .
Corridoi sconfinati e deserti,
senza un’anima in giro e con cartelli enigmatici che sembrano appesi da uno
scienziato pazzo . Dopo una ventina di minuti che giravo a vuoto mi sono reso
conto che salivo e scendevo piani senza logica e , nei piani, giravo in tondo
per ritrovarmi sempre allo stesso punto .
Le stanze erano tutte uguali, con
numeri che si ripetevano uguali per ogni reparto, e dentro pazienti uguali
nella loro immobilità, molti di schiena a guardare fuori dalle finestre e alcuni
a fissare in silenzio il soffitto.
In quel silenzio mi sembrava di
sentire anche il rumore delle flebo che gocciolavano in vena .
Ho trovato pochi parenti dentro le
stanze ed erano immobili e silenziosi
pure loro .
L’unico che è stato disponibile a
parlarmi mi ha detto di non potermi aiutare , che si era perso pure lui e che
si era stancato di cercare, al punto di
essere entrato in una stanza a caso, essersi trovato un paziente che dormiva e
essersi seduto vicino a quello , ma solo per riposarsi un po’ .
Ho ripreso il mio pellegrinaggio e
mi sono ritrovato in un braccio operatorio con la sala d’aspetto con una
famiglia che, appena mi ha visto, ha alzato gli occhi pieni di speranza verso
di me pensando forse che fossi il
chirurgo venuto a dare loro buone notizie .
Appena compreso il mio ruolo di
“Pellegrino Sperduto” hanno abbassato lo sguardo delusi e sono rientrati nel
loro silenzio di attesa e speranza .
Ho ripreso il mio vagare ma poi mi
sono fermato davanti ad una vetrata più grande delle altre mentre fuori cominciava un magico tramonto sulla
campagna Romana.
Ed allora ho capito .
Non mi ero perso ma avevo voluto
perdermi, per non trovare la stanza del mio amico gravemente malato.
Erano molti anni che non lo vedevo
e forse , perdendomi, avrei sconfitto il
male che lo aveva trasformato e se lo sarebbe portato via a breve .
Perdendo me nei corridoi avevo salvato il ricordo , io di lui e lui di me, perché lui è malato nel corpo e io nell'anima .
Come i raggi bassi di questo sole
al tramonto, in questo maggio Romano, io, il mio amico e il sole, non abbiamo
avuto nessuna voglia di darla vinta alla Morte .
E , come una metafora della vita,
ho ripreso a girare a vuoto, cercando la mia uscita .
Cesare
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