Spread a 310 ... ??
A proposito della manovra in deficit in nome del Popolo Italiano
Amo ricordare ai miei cari amici che l’adesione all’UE, la sottoposizione ai
vincoli di bilancio europei, la ratifica del Fiscal Compact e di altri trattati
aventi ad oggetto regole finanziarie e di bilancio, l’introduzione in
Costituzione dei princìpi dell’equilibrio del bilancio e del contenimento della
spesa pubblica così come della tutela della concorrenza e del mercato sono
tutte tappe raggiunte, senza ombra di dubbio, da organi espressione del “popolo
italiano” e nelle forme costituzionali di esercizio democratico della
“sovranità popolare”.
Né il fardello di questo impegno diviene più leggero se alcuni ministri
della Repubblica italiana si fanno ritrarre festanti al termine del Consiglio
dei Ministri che ha approvato la nota di aggiornamento al DEF, ebbri di
irrituale entusiasmo dopo una serata al
termine della quale l’esultanza sui balconi sembrava pari a quella della banda
di ladri che finalmente è riuscito a
svaligiare la banca di Paperopoli .
Specie se le successive dichiarazioni dei due Vice Presidenti del
Consiglio (forse meglio sarebbe appellarli quali Semi-Presidenti del
Consiglio), on.li Di Maio e Salvini, ripropongono icone populiste atte a
scacciare dall’immaginario collettivo distopie costruite ad arte dalle molte
Cassandre che affollano gli scranni dell’opposizione parlamentare e i
mefistofelici disegni di complottanti élite plutocratiche.
IL vero problema è che molto difficilmente una manovra improntata sul
debito spingerà la crescita economica,
per una ragione molto semplice, tra le altre che moltissimi hanno messo
in luce.
Chiediamoci : “Perché dopo la manovra la borsa perde 4% ma le banche
perdono l’8%?”
E’ molto semplice: le banche sono i primi compratori di titoli di Stato.
Il portafogli finanziario delle banche italiane è composto in grande
parte da titoli di Stato (italiani) che esse detengono in misura proporzionale
ai propri attivi.
Questo è del tutto normale. Tutte le banche, in tutti i paesi del mondo,
detengono titoli di Stato del proprio paese.
Si può anche dire che le banche vengono in qualche modo sollecitate dai
propri governi a mantenere titoli di Stato in bilancio allo scopo di
stabilizzare la relazione tra domanda ed offerta. Del resto le banche investono
–attraverso il credito- in aziende del proprio paese. E’ del tutto logico che
una parte di questi investimenti sia indirizzata anche all’acquisto del debito
dello Stato.
Però quando lo spread sale, il valore di mercato del titolo in
portafoglio scende, generando una minusvalenza importante. Questa minusvalenza,
sino al 2011 non veniva portata in bilancio, perché se i titoli erano detenuti
sino alla scadenza (quindi non oggetto di trading) si presumeva che lo Stato
non fallisse, e che a scadenza rimborsasse completamente il titolo. Poi l’EBA
con una regola molto discussa, ma che però è in vigore, e che fu introdotto
durante la crisi degli spread, ha stabilito che le minusvalenze sui titoli di
Stato debbono essere portate a bilancio.
Siccome i requisiti di solidità delle banche derivano da un rapporto tra
patrimonio e attivi a rischio (che si chiama in Basilea III, CET 1) , ecco che le
minusvalenze anfranno ad intaccare il
patrimonio delle banche.
Ora, se il numeratore si riduce, le banche hanno due possibilità:
ricostruire il numeratore facendo aumenti di capitale o ridurre il
denominatore, cioè gli attivi a rischio. E’ evidente che gli aumenti di
capitale costano, ma è anche evidente che siccome “I mercati se ne fanno una ragione” non vi sarà alcun
interesse da parte di investitori ad investire nuovamente nel sistema creditizio
italiano. Ne consegue che queste non potendo incidere sul numeratore, dovranno
necessariamente lavorare sul denominatore, e cioè diminuire gli attivi per
mantenere i livelli di CET1 previsti dalla vigilanza. Il che si sostanzia, in
parole semplici, in una riduzione di prestiti al sistema Italia.
E questo effetto sarà probabilmente moltiplicato dalle Agenzie di Rating,
che ovviamente a breve declasseranno il debito italiano con effetto diretto non
solo sul debito (cioè sul costo di rifinanziamento del medesimo) ma anche sul
rating delle aziende italiane (cioè sul loro merito creditizio). Quando un
paese viene declassato, infatti, parallelamente vengono declassate anche le
aziende che hanno sede in quel paese.
Questo produce l’ulteriore effetto che, ancora secondo le regole di
Basilea, poichè i prestiti ad aziende con rating peggiore “assorbono” maggior
capitale a garanzie nelle banche, per
compensare tale maggior assorbimento il sistema creditizio dovrà necessariamente far pagare di più il credito.
Avremo quindi meno credito, cioè meno circolazione di denaro ad un prezzo
maggiore. E questo non lo ha stabilito l’Europa , ma quel Mercato della Finanza
che (parole dell’On. Salvini”) : “Se na
farà una ragione” .💣
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