lunedì 8 ottobre 2018


Spread a 310 ... ?? 
A proposito della manovra in deficit in nome del Popolo Italiano

Amo ricordare ai miei cari amici  che l’adesione all’UE, la sottoposizione ai vincoli di bilancio europei, la ratifica del Fiscal Compact e di altri trattati aventi ad oggetto regole finanziarie e di bilancio, l’introduzione in Costituzione dei princìpi dell’equilibrio del bilancio e del contenimento della spesa pubblica così come della tutela della concorrenza e del mercato sono tutte tappe raggiunte, senza ombra di dubbio, da organi espressione del “popolo italiano” e nelle forme costituzionali di esercizio democratico della “sovranità popolare”.

Né il fardello di questo impegno diviene più leggero se alcuni ministri della Repubblica italiana si fanno ritrarre festanti al termine del Consiglio dei Ministri che ha approvato la nota di aggiornamento al DEF, ebbri di irrituale entusiasmo  dopo una serata al termine della quale l’esultanza sui balconi sembrava pari a quella della banda di ladri  che finalmente è riuscito a svaligiare la banca di Paperopoli .

Specie se le successive dichiarazioni dei due Vice Presidenti del Consiglio (forse meglio sarebbe appellarli quali Semi-Presidenti del Consiglio), on.li Di Maio e Salvini, ripropongono icone populiste atte a scacciare dall’immaginario collettivo distopie costruite ad arte dalle molte Cassandre che affollano gli scranni dell’opposizione parlamentare e i mefistofelici disegni di complottanti élite plutocratiche.
IL vero problema è che molto difficilmente una manovra improntata sul debito spingerà la crescita economica,  per una ragione molto semplice, tra le altre che moltissimi hanno messo in luce.

Chiediamoci : “Perché dopo la manovra la borsa perde 4% ma le banche perdono l’8%?”
E’ molto semplice: le banche sono i primi compratori di titoli di Stato.

Il portafogli finanziario delle banche italiane è composto in grande parte da titoli di Stato (italiani) che esse detengono in misura proporzionale ai propri attivi.
Questo è del tutto normale. Tutte le banche, in tutti i paesi del mondo, detengono titoli di Stato del proprio paese.
Si può anche dire che le banche vengono in qualche modo sollecitate dai propri governi a mantenere titoli di Stato in bilancio allo scopo di stabilizzare la relazione tra domanda ed offerta. Del resto le banche investono –attraverso il credito- in aziende del proprio paese. E’ del tutto logico che una parte di questi investimenti sia indirizzata anche all’acquisto del debito dello Stato.

Però quando lo spread sale, il valore di mercato del titolo in portafoglio scende, generando una minusvalenza importante. Questa minusvalenza, sino al 2011 non veniva portata in bilancio, perché se i titoli erano detenuti sino alla scadenza (quindi non oggetto di trading) si presumeva che lo Stato non fallisse, e che a scadenza rimborsasse completamente il titolo. Poi l’EBA con una regola molto discussa, ma che però è in vigore, e che fu introdotto durante la crisi degli spread, ha stabilito che le minusvalenze sui titoli di Stato debbono essere portate a bilancio.  Siccome i requisiti di solidità delle banche derivano da un rapporto tra patrimonio e attivi a rischio (che si chiama in Basilea III, CET 1) , ecco che le minusvalenze anfranno ad intaccare  il patrimonio delle banche.

Ora, se il numeratore si riduce, le banche hanno due possibilità: ricostruire il numeratore facendo aumenti di capitale o ridurre il denominatore, cioè gli attivi a rischio. E’ evidente che gli aumenti di capitale costano, ma è anche evidente che siccome “I mercati se ne fanno una ragione” non vi sarà alcun interesse da parte di investitori ad investire nuovamente nel sistema creditizio italiano. Ne consegue che queste non potendo incidere sul numeratore, dovranno necessariamente lavorare sul denominatore, e cioè diminuire gli attivi per mantenere i livelli di CET1 previsti dalla vigilanza. Il che si sostanzia, in parole semplici, in una riduzione di prestiti al sistema Italia.
E questo effetto sarà probabilmente moltiplicato dalle Agenzie di Rating, che ovviamente a breve declasseranno il debito italiano con effetto diretto non solo sul debito (cioè sul costo di rifinanziamento del medesimo) ma anche sul rating delle aziende italiane (cioè sul loro merito creditizio). Quando un paese viene declassato, infatti, parallelamente vengono declassate anche le aziende che hanno sede in quel paese.
Questo produce l’ulteriore effetto che, ancora secondo le regole di Basilea, poichè i prestiti ad aziende con rating peggiore “assorbono” maggior capitale a garanzie nelle banche,  per compensare tale maggior assorbimento il sistema creditizio dovrà  necessariamente far pagare di più il credito.
Avremo quindi meno credito, cioè meno circolazione di denaro ad un prezzo maggiore. E questo non lo ha stabilito l’Europa , ma quel Mercato della Finanza che (parole dell’On. Salvini”)  : “Se na farà una ragione” .💣

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