sabato 15 agosto 2015



  SCIENZA E/O ANIMA??

Per secoli, le ragioni della scienza e quelle dello spirito si sono contrapposte frontalmente e , nella migliore delle ipotesi , i due contendenti si sono reciprocamente ignorati. Ma da qualche tempo si respira un’aria nuova: la ricerca scientifica ha cambiato strategia e irrompe sempre più spesso nell'universo della spiritualità. Il suo obiettivo pare essere ambizioso: ricostruire la struttura  biologica di quell'entità generalmente conosciuta con il nome di “Anima”.

Secondo le più recenti teorie scientifiche il livello di spiritualità varierebbe da individuo a individuo in rapporto alla quantità di alcune sostanze chimiche che vengono prodotte all'interno del nostro cervello: 

la dopamina e la serotonina.  

Sarebbero questi due mediatori ormonali  i principali responsabili del senso di unione con l’universo e di tutte quelle sensazioni che caratterizzano l’esperienza spirituale di ciascuno di noi .
         

Il gene che regola la loro produzione, il “gene di Dio”, appunto, è stato battezzato Vmat2.

Secondo alcuni scienziati , stimolando in modo opportuno il nostro cervello, si può far sentire ad una persona il profumo di una rosa, anche se la rosa non c’è o fargli provare un’esperienza mistica anche se sta facendo shopping in un centro commerciale di Roma o qualunque altra cittadina o paese .

D'altronde questa visione meccanicistica dell’ esperienza spirituale è condivisa specificatamente dal genetista Francis Crick che, insieme a James Watson scoprì la struttura a doppia elica del DNA.
Egli, in una delle sue ultime interviste prima di morire, affermò di aver individuato nelle cellule neuronali (le cellule che compongono il sistema nervoso) uno schema coerente della coscienza e, quindi, dell’anima. 

Insomma, vi è una scuola di scienziati convinta che le esperienze mistiche di San Francesco,  Confucio, Buddha e Maometto sarebbero si, assolutamente reali , ma frutto tutto di una questione di ormoni e neurotrasmettitori: più il nostro cervello ne produce, più noi siamo in grado di elevare la nostra mente al di sopra delle logiche della materia bruta.

C’è da chiedersi :
Perché quando viene individuato all'interno del nostro cervello la sede di un pensiero superiore, arriva subito qualcuno a dirci di aver “smascherato” l’imbroglio, e a gridare alla vittoria della razionalità sullo spirito?
E’ probabile che ciò accada perché, da diversi secoli, la nostra cultura scientifica si fonda su di una netta scissione tra le ragioni del corpo e quelle dello spirito.

E’ la ben nota distinzione cartesiana tra

res extensa
(che  rappresenta la realtà fisica, che è estesa, limitata e inconsapevole)

 e 

res cogitans
(con cui  si intende la realtà psichica a cui Cartesio attribuisce le seguenti qualità: inestensione, libertà e consapevolezza.

Grazie, o forse sarebbe meglio dire “per colpa”, a questo dualismo, scienza e religione si sono potuti spartire, ma sempre guardandosi in “cagnesco”,  i territori di reciproca competenza.

Il corpo agli scienziati, l’anima alla religione. 

Così è stato stipulato un trattato di finta non belligeranza, che, a parte qualche scaramuccia di confine, ha apparentemente retto per secoli. Questo dualismo, sorte di “pax armata” ha fatto sì che la medicina potesse gestire il corpo umano secondo il cosiddetto “modello meccanico”, che lo considera alla stregua di una macchina fatta di leve e ingranaggi, pulegge e contrappesi, spinte e contro spinte, in cui ad ogni causa corrisponde un effetto ( chiaramente estremizzo) .

Ma cosa avviene se, per caso, "res cogitans"  e "res extensa"  si incontrano ?

Cosa accade se all'interno degli ingranaggi della macchina-uomo ci si imbatte in qualcosa che, manifestamente, appartiene al’“io pensante”?
Accade che allora salta la logica duale tra corpo e anima: se si dimostra che l’anima si serve di strutture che lo scienziato può osservare, isolare, misurare, vuol dire che l’anima non è più anima: è anch'essa materia. 

E il dogma è infranto, la “truffa” è scoperta. E’ la materia a farla da padrona. E’ dunque vero che, come affermava un certo positivismo agli inizi del’900,

“le emozioni sono tutta una questione di chimica”.

Ma stanno proprio così le cose?

Non credo ; per analogia, se scoprissimo la tecnica con cui nel medioevo si producevano i mattoni avremmo forse automaticamente anche scoperto i meravigliosi ed ineffabili segreti dei costruttori di cattedrali  ?

Forse . a chiarirci le cose, paradossalmente, potrebbero essere le più sofisticate tecnologie di cui si servono oggi le neuroscienze, come la risonanza magnetica funzionale. 

Questa tecnica che consente di vedere le aree del cervello che sono coinvolte nei vari tipi di attività mentale.
Qualche anno fa , chi si fosse trovato a passare per il Dipartimento di Neuroscienze dell’Università del Wisconsin,  avrebbe assistito ad una scena a dir poco strana: avrebbe visto alcuni monaci buddisti in meditazione all'interno del tubo di un apparecchio di risonanza magnetica funzionale.

           Nessun problema dal punto di vista morale: l’esperimento era stato autorizzato e incoraggiato nientemeno che dal Dalai Lama in persona senza che la Cina, a differenza di come sovente fa, ne facesse un caso diplomatico. 

L’ideatore dell’inconsueta indagine mi pare fosse il neuro scienziato Richard Davidson. Studiando i tracciati di questo particolare tipo di risonanza magnetica, Davidson notò che, durante gli esercizi mentali in cui i monaci si concentrano su sentimenti di compassione pura, le regioni del cervello deputate a discernere ciò che è proprio da ciò che è estraneo, sembravano essere , come dire ? “Addormentate” . 

Insomma sembrava proprio che, in questi esercizio  i monaci avessero abbattuto le barriere mentali che esistono fra il loro mondo e l’universo circostante, diventando un tutt'uno con il mondo che li circondava .

Più interessanti ancora erano poi le differenze tra i monaci anziani e i novizi. Nei primi c’era un’attivazione significativamente maggiore dei percorsi cerebrali legati all'empatia e all'amore. 

Maggiori erano gli anni di allenamento alla meditazione, maggiori erano le connessioni tra le regioni frontali (molto attive durante le meditazioni di compassione) e le regioni dell’emozione.
Ma probabilmente le differenze più nette emergevano nell'area della corteccia prefrontale sinistra, il sito coinvolto nei sentimenti di felicità. Mentre i monaci anziani erano intenti in esercizi di compassione, l’attività nella regione prefrontale sinistra aumentava enormemente, travolgendo l’attività della regione destra, associata invece a sentimenti negativi.
       
              Questi livelli di attività non erano mai stati osservati durante il lavoro mentale di persone “normali”. Dunque anche il pensiero positivo è un’abilità che può essere allenata. Già qualche anno fa, Davidson aveva scoperto che una maggiore attività nella corteccia prefrontale sinistra rispetto a quella destra determinava un maggiore livello di serenità. La cosa più interessante era poi l’osservazione che, le persone allenate a far funzionare maggiormente la corteccia sinistra, tendono a tornare a quel livello di base anche dopo episodi di vita stressanti o dolorosi. In altre parole, riescono più degli altri a superare  le prove difficili della vita.
Insomma, da questi studi si conferma che il cervello funziona per certi versi esattamente come un muscolo che, allenato in modo appropriato, può rafforzare progressivamente alcune sue funzioni e persino la sua struttura anatomica.

Il cervello va quindi visto come una struttura plastica, in cui i pensieri possono modificarne le funzioni e la struttura, e non solo viceversa.
Un’altra grande lezione che ci viene da questi studi è che il pensiero emozionale, la visione spirituale del mondo possono essere portati ad un livello di consapevolezza.

        Possono essere una libera scelta, frutto di un maturo libero arbitrio .


         Inoltre, la parte emozionale del nostro pensiero può essere allenata e utilizzata attivamente per arricchire e migliorare il lavoro del pensiero razionale. E la nostra volontà su questo gioca un ruolo non da poco. Molto superiore a quello dei geni e degli ormoni da loro prodotti. E allora non è vero che siamo dominati da ormoni e neurotrasmettitori, come sostengono alcuni, ma possiamo servirci di essi per valorizzare alcune particolari attività mentali.
E se la ricerca scientifica abbatte i confini fra neurochimica e anima portando a risultati che nessuno si aspettava, la stessa drastica scissione cartesiana fra anima e corpo sembra reggere sempre meno: sempre più  si abbattono i confini tra funzioni biologiche e funzioni che sembravano assolutamente circoscritte alla mente.

          Ad esempio, è noto da molto tempo che  condizioni di stress o sentimenti negativi come  gelosia e  invidia, determinano nel nostro cervello un calo dei livelli di serotonina che, oltre ad essere, come abbiamo visto, un ormone legato ai sentimenti di spiritualità, ha la capacità più in generale di stabilizzare l’umore, favorire il sonno, il relax e la distensione e determinare sentimenti positivi, tanto da essere identificato in genere come l’ormone della serenità. Per di più, negli stati di stress aumentano pericolosamente i livelli di noradrenalina, Questo accade perché serotonina e noradrenalina si comportano come due bambini sull’altalena: se uno sale, l’altro scende, ma non possono mai essere tutt’e due contemporaneamente in alto. E’ ben noto che la noradrenalina stimola la memoria e l’attenzione, ma anche la carica energetica e l’aggressività, ed aumenta il rischio di malattie cardiovascolari. Ma la sua è un’azione di breve durata,  tipo “mordi e fuggi”. 

     Nello stress cronico un altro ormone prende il posto dell’adrenalina: il cortisolo, un potente cortisone naturale che, alla lunga, può determinare molti problemi. I ricercatori infatti correlano livelli cronicamente elevati di cortisolo con l’insorgenza di diabete,  obesità, osteoporosi ma soprattutto immunodepressione e, ancora una volta, problemi cardiaci. 

          Del resto. non è necessario essere monaci buddisti per sperimentare nella vita di tutti i giorni che combattere sentimenti negativi come l’invidia aumenta i livelli degli ormoni del benessere e aiuta a prevenire il rischio cardiovascolare. Quindi, gelosi e invidiosi dei successi altrui: occhio al cuore e al sistema immunitario!


         Ma il caro Cartesio non aveva poi tutti i torti. Nelle Passioni dell’anima, egli sosteneva che siamo diventati umani quando siamo stati capaci di controllare le nostre pulsioni animali grazie al pensiero, alla ragione e alla volontà, e questo è senz'altro vero, e  le nuove tecnologie applicate alla medicina ci consentono di vedere queste interazioni  con i nostri occhi e di scoprire che altre e più ammirevoli interazioni coinvolgono la parte emotiva del nostro cervello. Tuttavia Cartesio era convinto che la mente potesse controllare il corpo attraverso l’intervento di un agente non fisico. 

         L’aver scoperto che, alla base di queste meravigliose potenzialità  esiste un’attività biologica fatta di cellule, ormoni e circuiti neuronali strutturata all'interno del nostro cervello non le rende per nulla meno affascinanti, anzi apre in questo campo nuove e promettenti prospettive.


           Concludo con le parole di Papa Francesco, che in un recente e franco confronto con un noto giornalista da sempre proclamatosi ateo, testualmente afferma :
….Lei, si definisce "un non credente da molti anni interessato e affascinato dalla predicazione di Gesù di Nazareth".

Mi pare dunque sia senz'altro positivo, non solo per noi singolarmente ma anche per la società in cui viviamo, soffermarci a dialogare su di una realtà così importante come la fede, che si richiama alla predicazione e alla figura di Gesù. Penso vi siano, in particolare, circostanze che rendono oggi doveroso e prezioso questo dialogo.”….

Mi chiedo se la scoperta del Gene di Dio non sia forse la chiave che, dopo millenni, riesca ad aprire quella porta che riesca a mettere finalmente in comunicazione “Fede” e “Ragione” .


Forse Dio non appartiene all’una o all’altra ma è sia l’una che l’altra.

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