domenica 6 marzo 2016

La stagista




C’era una volta un direttore di una importante azienda che produceva lavatrici.

Negli ultimi tempi il direttore, che chiameremo Sig. X., era sopraffatto dalla mole di lavoro e di responsabilità, che aumentavano a dismisura sotto il suo naso.

Dove sono finiti i bei tempi in cui arrivavo in ufficio in orari decenti, non prima delle undici?” si chiedeva lo sventurato.  

Erano mesi, ormai, che era costretto a puntare quattro sveglie per cercare di essere puntuale; erano settimane che doveva accontentarsi di un caffè ingurgitato velocemente e in ascensore; delle chiacchierate con la bella barista sotto l’ufficio, davanti a cappuccino e cornetto, neanche l’ombra, per non parlare delle ore passate a chattare con le sue amiche tra una pratica e un’altra, ore che a questo punto era costretto a impegnare nella lettura, redazione e revisione di noiose relazioni e di scartoffie varie pur di onorare gli impegni.

Quella non era più vita. Tutte quelle responsabilità, tutte quelle decisioni da prendere velocemente… e tutti quegli esperimenti! Il nostro direttore si dedicava infatti da tempo allo studio e alla realizzazione del prototipo di un marchingegno rivoluzionario: un lava – asciuga – stira e riponi biancheria che in un unico, pratico, dal design elegante e a basso consumo elettrodomestico avrebbe aperto nuove frontiere nella vita delle casalinghe di tutto il mondo, guidandole verso la loro emancipazione.

Così, una mattina il Sig. X. pensò bene che l’unica soluzione a tutti i suoi problemi fosse quella di richiedere ufficialmente un aiuto. Ma non una segretaria: qualcuno di molto più importante, tale da poter essere delegato di più di una rogna.
Ah… al solo pensiero della geniale idea avuta, al nostro direttore parve di sentire cinguettare gli uccellini,  parve di cogliere il  profumo di fiori nell’aria e si sentì decisamente meglio.

Nei giorni successivi, il Sig. X. arrivò sempre puntualissimo in ufficio, aveva un sorriso per tutti e zelante accarezzava il suo prototipo come fosse una creatura animata. Gli sembrava di vedere il mondo rosa.
E così… toc toc…  il nostro bussò alla porta del Direttore Generale per giocare la sua partita.

Carissimo… disturbo?” chiese il Sig. X. facendo capolino alla porta del Grande Capo.
Niente affatto Direttore… si accomodi.” rispose quello serafico.
Tra un sospiro, un lamento e un palpitare, il Sig. X. espose il suo caso.
Siamo in ritardo con lo studio del prototipo… - ripeteva agitato – lei deve capire che io mi trovo a gestire da solo una quantità di lavoro spaventosa…. Neanche una segretaria su cui contare…

Il Grande Capo ascoltò fino all’ultimo gemito. Poi si alzò, prese dal cassetto della scrivania una chiave enorme e semi arrugginita e con fare solenne, guadandosi prima alle spalle, aprì un armadio.
Venga caro Direttore… la prego! Prenda pure l’unica cosa che si trova dentro questo grande armadio. Non potrà sbagliarsi!”  Il nostro Sig. X.. ne tirò fuori un enorme porcello di terracotta. Sì, uno di quei porcelli che fungono da salvadanaio e che nella migliore delle ipotesi hanno il foro per far scendere i soldini sotto la pancia; nei casi meno fortunati, il foro è così mal disposto che si preferisce generalmente procedere con un martello.

Grazie all’ausilio del martello, fu  possibile appurare che il porcello conteneva centoquindici euro e due zanzare. Ma il Grande Capo pur di andare incontro agli evidenti gravi disagi del nostro Direttore propose l’ausilio di una stagista, allo stato dei fatti l’unica risorsa cui l’azienda avesse accesso. Un paio di buoni pasto e un caffè ogni tanto sarebbero stati più che sufficienti a far contenti tutti.

Ma la mente del povero Sig. X. fu presa come da un rapimento e in un nanosecondo ebbe tutta la panoramica della vicenda: non solo non avrebbe avuto nessuno cui sfibbiare almeno tre quarti del suo lavoro per potersi dedicare alle sue ben più importanti faccende, ma al contrario avrebbe avuto tra i piedi qualche maldestra giovincella cui insegnare a fare le fotocopie, i suoi metodi di archiviazione… qualcuno che avrebbe spostato l’ordine meticoloso delle sue matite sulla scrivania. Insomma, qualcuno che sarebbe stata l’ombra della sua ombra.

Un brivido gli percorse la schiena.

Il cuore del povero direttore prese traiettorie tutte sue, ora iperboliche ora piatte.
UNA STAGISTA??????” il Sig. X era oltremodo offeso. “Ma signor Direttore Generale… un fior fiore di professionista della mia levatura, affiancato da una semplice stagista… ne va del buon nome dell’azienda, mi creda! per far funzionare la cosa e raggiungere i nostri comuni obiettivi, qui occorre una figura di simile spessore, di comprovata esperienza nel settore, qualcuno con grandi doti di affidabilità  …. E astenersi  perditempo!”
 
“Lei tenga a mente solo una parola direttore… CASSÉ!” fu la risposta del Grande Capo.
Da quando era avvenuto l’incontro, il direttore viveva in apnea. Ormai era diventata una questione di dignità personale. Il nostro Sig. X non riusciva a dormire che poche ore per notte e di un sonno popolato da feroci mostri. E neppure mangiava, così che in breve tempo divenne smunto ed emaciato.

Passò ancora qualche giorno e una mattina il Sig. X si vide piazzare dai fattorini, nella sua stanza, una seconda scrivania. Quando si allontanò per prendere una boccata d’aria alla finestra del corridoio, si imbatté in una figura nuova in quel panorama. Una magnifica creatura, che non avrà avuto più di venticinque anni, era ferma davanti alla porta del Grande Capo.

Era alta, indossava con un cappotto redingote scuro, portava un lezioso cappellino dal quale scappavano riccioli ribelli e calzava deliziose francesine demi-tac. Nell’insieme, sembrava una collegiale cresciutella.

Signorina, cerca qualcuno?” chiese il direttore.
Sono la nuova stagiaire… e aspetto il direttore generale.” - rispose la signorina guardandolo dapprima diretta negli occhi, poi abbassando lo sguardo con pudore.
La nuova stagiaire… certo, stagiaire aveva tutto un altro suono rispetto a stagista. E la mente del povero Sig. X imboccò con una rapidità impressionante l’autostrada della fantasia.

Che meravigliosa fanciulla… certamente perfetta unione tra una mente per gli affari e un corpo per il peccato… e poco importava ora se avesse tutto da imparare!
Anzi, lui sarebbe stato costretto, per correttezza professionale, a insegnarle tutto, proprio tutto… e lei sarebbe stata costretta e seguire fedelmente le sue indicazioni, a fare ciò che veniva richiesto.
Già si vedeva costretto a guidare la sua inesperta mano, prendendola tra le sue,  nella stesura dei progetti… già si vedeva costretto a ore e ore di straordinario, con tutto quel lavoro accumulato da smaltire… già si vedeva obbligato a richiederle di spogliarsi per sperimentare con i suoi vestiti il nuovo sistema lava-asciuga-stira e riponi… e certamente la fanciulla avrebbe sentito freddo, così con le sole culottes … e lui sarebbe stato costretto ad accarezzarla e a praticarle un massaggio, per non rischiare di farle buscare un raffreddore. E se l’ordine perfetto delle sue matite sopra la scrivania si fosse qualche volta scomposto nella foga di condividere nuove idee… non sarebbe stato poi così grave!

E poi, il rito del caffè mattutino prima di iniziare la giornata lavorativa… certamente i croissant e le café au lait che lei gli avrebbe fatto trovare sulla scrivania avrebbero avuto ben più gustoso sapore rispetto al cappuccino e cornetto della barista sotto l’ufficio…
Doveva scoprire a tutti i costi come si chiamava.

Anita.

La “sua” stagiaire si chiamava Anita. Qual intrigante nome! Un nome elegante, aristocratico, quasi demodé che lasciava intuire la raffinata presenza di lingerie sotto quella camicetta bianca dal colletto leggermente rigido, che faceva intuire calze di seta e reggicalze sotto la gonna longuette…      
    
Il direttore pensò che neppure nel migliore dei suoi sogni avrebbe potuto capitargli di meglio. Finalmente avrebbe potuto provare al restante top managing dell’azienda che un’assistente può essere tanto bella quanto in gamba… avrebbe potuto sfatare il mito della segretaria efficiente solo se racchia… e sarebbe stato invidiato da tutti. Quale fortuna!
Quella notte il direttore non chiuse occhio, ma non per gli incubi popolati da mostri, ma perché non riusciva a togliersi dalla testa la “sua” stagiaire Anita. Non riusciva a stare nella pelle pensando all’indomani mattina, quando l’avrebbe accolta nella sua stanza.

L’indomani giunse.    

Nel suo ufficio, tutti i sensi all’erta, il direttore spiava con le orecchie i passi sul corridoio,  con gli occhi la porta che si sarebbe aperta da un momento all’altro, con la mente si figurava l’ingresso trionfale della magnifica figura di Anita, al cui passaggio petali di rosa sarebbero piovuti dal soffitto.

Direttore… è permesso?” - la porta si socchiuse ed apparve il faccione del Grande Capo – “Mi permetta di introdurre la sua nuova collaboratrice, Anita!” disse trionfante.  
    
Il povero Sig. X., sopraffatto dall’emozione, chiuse per un attimo gli occhi.

Quando li aprì, un donnone due metri per due ingombrava la stanza. Bardata di una parannanza  di grezzo cotone bianco, con i capelli raccolti in una crocchia a mezza nuca, con ai piedi improbabili zoccolacci consunti, la donna lo osservava gongolante con le mani poggiate sui larghi fianchi e a gambe larghe.

Chi è costei?” chiese con un filo di voce, alquanto confuso, il Sig. X..
La persona di comprovata esperienza sul campo che tanto desiderava, direttore… la persona che gentilmente, e gratuitamente, in nome della grande invenzione cui sta lavorando da mesi, ci offrirà la sua consulenza, dall’alto della sua competenza… è Anita, la lavandaia!” rispose il Grande Capo.

Ma… e l’altra ragazza, la stagista?” chiese devastato il Sig. X.
Il curriculum non mi sembrava adeguato al suo profilo, direttore… insomma, è alle prime armi… non mi sembrava abbastanza, per lei. Dunque lavorerà per me!” concluse il Capo.   

Con grande sconforto del direttore, quel demonio della lavandaia Anita se ne intendeva anche di meccanica.
Passava le giornate con la cassetta degli attrezzi a prendersi cura del prototipo lava-asciuga-stira e riponi.

Dottò, ‘sta vite è lenta! Dottò, tocca allentà le cinghie! Dottò, ‘sto motore nun tira!” ripeteva in continuazione la donna. E giù di pinze, avvitatori e martello.


Il povero Sig. X., accasciato sulla poltrona, ogni tanto sollevava desolato e scoraggiato lo sguardo dalle sue scartoffie, per posarlo suo malgrado sul panettone di Anita la quale, infaticabile e carponi, lasciava intravedere sulle gambe simil salsiccia due gambaletti, al ginocchio, color carne. 

Valentina


(ps: piccola burla, con affetto e molta comprensione, dedicata ai  maschietti lavoratori!)

1 commento:

  1. a me Anita la lavandaia sarebbe piaciuta come collaboratrice !!!!

    W le donne

    Cesare

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