La Molecola di Dio
Per secoli, le ragioni della scienza
e quelle dello spirito si sono contrapposte frontalmente, nella migliore delle
ipotesi i due contendenti si sono reciprocamente ignorati. Ma da qualche tempo
si respira un’aria nuova: la ricerca scientifica ha cambiato strategia e
irrompe sempre più spesso nell'universo della spiritualità. Il suo obiettivo pare
essere ambizioso: ricostruire la struttura biologica di quell'entità generalmente conosciuta con il nome di “anima”.
Secondo le più recenti teorie
scientifiche il livello di spiritualità varierebbe da individuo a individuo
in rapporto alla quantità di alcune sostanze chimiche che vengono prodotte all'interno del nostro cervello:
la dopamina e la serotonina.
Sarebbero questi due mediatori ormonali i principali responsabili del senso di unione
con l’universo e di tutte quelle sensazioni che caratterizzano l’esperienza
spirituale di ciascuno di noi .
Il gene che regola la loro produzione,
il “gene di Dio”, appunto, è stato battezzato Vmat2.
Secondo alcuni scienziati ,
stimolando in modo opportuno il nostro cervello, si può far sentire ad una
persona il profumo di una rosa, anche se la rosa non c’è o fargli provare
un’esperienza mistica anche se sta facendo shopping in un centro commerciale di
Roma o qualunque altra cittadina o paese .
D'altronde questa visione
meccanicistica dell’ esperienza spirituale è condivisa specificatamente dal
genetista Francis Crick che, insieme a James Watson scoprì la struttura a
doppia elica del DNA.
Egli, in una delle sue ultime
interviste prima di morire, affermò di aver individuato nelle cellule neuronali
(le cellule che compongono il sistema nervoso) uno schema coerente della
coscienza e, quindi, dell’anima.
Insomma, vi è una scuola di scienziati
convinta che le esperienze mistiche di San Francesco, Confucio, Buddha e
Maometto sarebbero si, assolutamente reali , ma frutto tutto di una questione
di ormoni e neurotrasmettitori: più il nostro cervello ne produce, più noi
siamo in grado di elevare la nostra mente al di sopra delle logiche della
materia bruta.
C’è da chiedersi :
Perché quando viene individuato all'interno del nostro cervello la sede di un pensiero superiore, arriva subito
qualcuno a dirci di aver “smascherato” l’imbroglio, e a gridare alla vittoria
della razionalità sullo spirito?
E’ probabile che ciò accada perché,
da diversi secoli, la nostra cultura scientifica si fonda su di una netta
scissione tra le ragioni del corpo e quelle dello spirito.
E’ la ben nota distinzione cartesiana
tra
res extensa
(che rappresenta la realtà fisica, che è
estesa, limitata e inconsapevole)
e
res cogitans
(con cui si
intende la realtà psichica a cui Cartesio attribuisce le seguenti qualità:
inestensione, libertà e consapevolezza.
Grazie, o forse sarebbe meglio dire
“per colpa”, a questo dualismo, scienza e religione si sono potuti spartire, ma
sempre guardandosi in “cagnesco”, i
territori di reciproca competenza.
Il corpo agli scienziati, l’anima
alla religione.
Così è stato stipulato un trattato di finta non belligeranza,
che, a parte qualche scaramuccia di confine, ha apparentemente retto per
secoli. Questo dualismo, sorte di “pax armata” ha fatto sì che la medicina potesse
gestire il corpo umano secondo il cosiddetto “modello meccanico”, che lo
considera alla stregua di una macchina fatta di leve e ingranaggi, pulegge e
contrappesi, spinte e contro spinte, in cui ad ogni causa corrisponde un effetto
( chiaramente estremizzo) .
Ma cosa avviene se, per caso, "res cogitans" e "res extensa" si incontrano ?
Cosa accade se all'interno degli
ingranaggi della macchina-uomo ci si imbatte in qualcosa che, manifestamente,
appartiene al’“io pensante”?
Accade che allora salta la logica
duale tra corpo e anima: se si dimostra che l’anima si serve di strutture che
lo scienziato può osservare, isolare, misurare, vuol dire che l’anima non è più
anima: è anch'essa materia.
E il dogma è infranto, la “truffa” è scoperta. E’
la materia a farla da padrona. E’ dunque vero che, come affermava un certo
positivismo agli inizi del’900,
“le emozioni sono
tutta una questione di chimica”.
Ma stanno proprio così le cose?
Non credo ; per analogia, se
scoprissimo la tecnica con cui nel medioevo si producevano i mattoni avremmo forse
automaticamente anche scoperto i meravigliosi ed ineffabili segreti dei
costruttori di cattedrali ?
Forse . a chiarirci le cose,
paradossalmente, potrebbero essere le più sofisticate tecnologie di cui si
servono oggi le neuroscienze, come la risonanza magnetica funzionale.
Questa
tecnica che consente di vedere le aree del cervello che sono coinvolte nei vari
tipi di attività mentale.
Qualche anno fa , chi si fosse
trovato a passare per il Dipartimento di Neuroscienze dell’Università del
Wisconsin, avrebbe assistito ad una
scena a dir poco strana: avrebbe visto alcuni monaci buddisti in meditazione all'interno del tubo di un apparecchio di risonanza magnetica funzionale.
Nessun problema dal punto di vista
morale: l’esperimento era stato autorizzato e incoraggiato nientemeno che dal
Dalai Lama in persona senza che la Cina, a differenza di come sovente fa, ne
facesse un caso diplomatico.
L’ideatore dell’inconsueta indagine mi pare fosse il
neuro scienziato Richard Davidson. Studiando i tracciati di questo particolare
tipo di risonanza magnetica, Davidson notò che, durante gli esercizi mentali in
cui i monaci si concentrano su sentimenti di compassione pura, le regioni del
cervello deputate a discernere ciò che è proprio da ciò che è estraneo,
sembravano essere , come dire ? “Addormentate” .
Insomma sembrava proprio che,
in questi esercizio i monaci avessero abbattuto le barriere mentali che
esistono fra il loro mondo e l’universo circostante, diventando un tutt'uno con
il mondo che li circondava .
Più interessanti ancora erano poi le
differenze tra i monaci anziani e i novizi. Nei primi c’era un’attivazione
significativamente maggiore dei percorsi cerebrali legati all'empatia e all'amore.
Maggiori erano gli anni di allenamento alla meditazione, maggiori erano le connessioni tra le regioni frontali (molto attive durante le
meditazioni di compassione) e le regioni dell’emozione.
Ma probabilmente le differenze più
nette emergevano nell'area della corteccia prefrontale sinistra, il sito
coinvolto nei sentimenti di felicità. Mentre i monaci anziani erano
intenti in esercizi di compassione, l’attività nella regione prefrontale
sinistra aumentava enormemente, travolgendo l’attività della regione destra,
associata invece a sentimenti negativi.
Questi livelli di attività non
erano mai stati osservati durante il lavoro mentale di persone “normali”.
Dunque anche il pensiero positivo è un’abilità che può essere allenata. Già
qualche anno fa, Davidson aveva scoperto che una maggiore attività nella
corteccia prefrontale sinistra rispetto a quella destra determinava un maggiore
livello di serenità. La cosa più interessante era poi l’osservazione che, le
persone allenate a far funzionare maggiormente la corteccia sinistra, tendono a
tornare a quel livello di base anche dopo episodi di vita stressanti o
dolorosi. In altre parole, riescono più degli altri a superare le prove
difficili della vita.
Insomma, da questi studi si conferma
che il cervello funziona per certi versi esattamente come un muscolo che,
allenato in modo appropriato, può rafforzare progressivamente alcune sue
funzioni e persino la sua struttura anatomica.
Il cervello va quindi visto come una
struttura plastica, in cui i pensieri possono modificarne le funzioni e la
struttura, e non solo viceversa.
Un’altra grande lezione che ci viene
da questi studi è che il pensiero emozionale, la visione spirituale del mondo
possono essere portati ad un livello di consapevolezza.
Possono essere una libera scelta,
frutto di un maturo libero arbitrio .
Inoltre, la parte emozionale del
nostro pensiero può essere allenata e utilizzata attivamente per arricchire e
migliorare il lavoro del pensiero razionale. E la nostra volontà su questo
gioca un ruolo non da poco. Molto superiore a quello dei geni e degli ormoni da
loro prodotti. E allora non è vero che siamo dominati da ormoni e
neurotrasmettitori, come sostengono alcuni, ma possiamo servirci di essi per
valorizzare alcune particolari attività mentali.
E se la ricerca scientifica abbatte i
confini fra neurochimica e anima portando a risultati che nessuno si aspettava,
la stessa drastica scissione cartesiana fra anima e corpo sembra reggere sempre
meno: sempre più si abbattono i confini tra funzioni biologiche e
funzioni che sembravano assolutamente circoscritte alla mente.
Ad esempio, è noto da molto tempo
che condizioni di stress o sentimenti negativi come gelosia e
invidia, determinano nel nostro cervello un calo dei livelli di serotonina che,
oltre ad essere, come abbiamo visto, un ormone legato ai sentimenti di
spiritualità, ha la capacità più in generale di stabilizzare l’umore, favorire
il sonno, il relax e la distensione e determinare sentimenti positivi, tanto da
essere identificato in genere come l’ormone della serenità. Per di più, negli
stati di stress aumentano pericolosamente i livelli di noradrenalina, Questo
accade perché serotonina e noradrenalina si comportano come due bambini
sull’altalena: se uno sale, l’altro scende, ma non possono mai essere tutt’e
due contemporaneamente in alto. E’ ben noto che la noradrenalina stimola la
memoria e l’attenzione, ma anche la carica energetica e l’aggressività, ed
aumenta il rischio di malattie cardiovascolari. Ma la sua è un’azione di breve
durata, tipo “mordi e fuggi”.
Nello stress cronico un altro ormone prende il
posto dell’adrenalina: il cortisolo, un potente cortisone naturale che, alla
lunga, può determinare molti problemi. I ricercatori infatti correlano livelli
cronicamente elevati di cortisolo con l’insorgenza di diabete, obesità,
osteoporosi ma soprattutto immunodepressione e, ancora una volta, problemi
cardiaci.
Del resto. non è
necessario essere monaci buddisti per sperimentare nella vita di tutti i giorni
che combattere sentimenti negativi come l’invidia aumenta i livelli degli
ormoni del benessere e aiuta a prevenire il rischio cardiovascolare. Quindi,
gelosi e invidiosi dei successi altrui: occhio al cuore e al sistema
immunitario!
Ma il caro Cartesio non aveva poi
tutti i torti. Nelle Passioni dell’anima, egli
sosteneva che siamo diventati umani quando siamo stati capaci di controllare le
nostre pulsioni animali grazie al pensiero, alla ragione e alla volontà, e
questo è senz'altro vero, e le nuove tecnologie applicate alla medicina
ci consentono di vedere queste interazioni con i nostri occhi e di
scoprire che altre e più ammirevoli interazioni coinvolgono la parte emotiva
del nostro cervello. Tuttavia Cartesio era convinto che la mente potesse
controllare il corpo attraverso l’intervento di un agente non fisico.
L’aver
scoperto che, alla base di queste meravigliose potenzialità esiste
un’attività biologica fatta di cellule, ormoni e circuiti neuronali strutturata all'interno del nostro cervello non le rende per nulla meno affascinanti, anzi
apre in questo campo nuove e promettenti prospettive.
Concludo con le parole di Papa
Francesco, che in un recente e franco confronto con un noto giornalista da
sempre proclamatosi ateo, testualmente afferma :
….Lei, si definisce "un non credente da molti anni
interessato e affascinato dalla predicazione di Gesù di Nazareth".
Mi pare dunque sia senz'altro positivo, non solo per noi singolarmente ma anche per la società in cui viviamo, soffermarci a dialogare su di una realtà così importante come la fede, che si richiama alla predicazione e alla figura di Gesù. Penso vi siano, in particolare, circostanze che rendono oggi doveroso e prezioso questo dialogo.”….
Mi pare dunque sia senz'altro positivo, non solo per noi singolarmente ma anche per la società in cui viviamo, soffermarci a dialogare su di una realtà così importante come la fede, che si richiama alla predicazione e alla figura di Gesù. Penso vi siano, in particolare, circostanze che rendono oggi doveroso e prezioso questo dialogo.”….
Mi chiedo se la scoperta del Gene di Dio non sia forse la chiave che, dopo millenni,
riesca ad aprire quella porta che riesca a mettere finalmente in comunicazione
“Fede” e “Ragione” .
Forse Dio non appartiene
all’una o all’altra ma è sia l’una che l’altra.
CdG


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