Ho pensato di pubblicare integralmente la Sentenza della Corte Costituzionale inerente la dichiarazione di Illegittimità delle Norme , a suo tempo emanate dal Governo Monti, sul blocco delle rivalutazioni monetarie limitatamente ad alcune fasce di pensioni.
Perché l'ho fatto ??
Non per il Valore Economico, tutto da vedere e calcolare , ma per i "Principi Giuridici Costituzionali " che la Suprema Corte ha individuato essere stati violati .
E' una bella pletora di Diritti violati che , sinceramente, dovrebbe far vergognare tutta quella platea di Consiglieri Giuridici e Costituzionalisti che hanno permesso che tali norme fossero emanate e, soprattutto, ratificate .
Invito a leggere e riflettere sia a chi è in Pensione che a chi, auguro, prima o poi ci andrà, perché la "Buona Giustizia" riguarda tutti ed ha il vero , dolce sapore della Democrazia .
Cesare
N . 70 SENTENZA 10 marzo - 30 aprile 2015 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale . Pensioni - Perequazione automatica dei trattamenti pensionistici - Limitazione, per gli anni 2012 e 2013, esclusivamente a quelli di importo complessivo fino a tre volte il trattamento minimo INPS, nella misura del 100% . - Decreto-legge 6 dicembre 2011, n . 201 (Disposizioni urgenti per la crescita, l'equita' e il consolidamento dei conti pubblici) - convertito, con modificazioni, dall'art . 1, comma 1, della legge 22 dicembre 2011, n . 214 - art . 24, comma 25 . -
(GU 1a Serie Speciale - Corte Costituzionale
n . 18 del 6-5-2015)
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi di legittimita'
costituzionale dell'art . 24,
comma 25, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n . 201
(Disposizioni urgenti per la crescita,
l'equita' e il consolidamento dei
conti pubblici),
convertito, con modificazioni,
dall'art . 1, comma 1, della legge
22 dicembre 2011, n . 214, promossi
dal Tribunale ordinario di Palermo, sezione lavoro, con ordinanza del 6
novembre 2013, dalla Corte
dei conti, sezione giurisdizionale per la Regione Emilia-Romagna, con
due ordinanze del 13 maggio 2014, e
dalla Corte dei
conti, sezione giurisdizionale
per la Regione Liguria, con ordinanza del
25 luglio 2014, rispettivamente
iscritte ai nn . 35, 158, 159 e 192 del
registro ordinanze 2014
e pubblicate nella
Gazzetta Ufficiale della
Repubblica, nn . 14, 41 e 46,
prima serie speciale, dell' anno 2014 .
Visti gli atti di costituzione di
C . G . e dell'Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS),
nonche' gli atti di intervento
di T . G . e del Presidente del
Consiglio dei ministri; udito
nell'udienza pubblica del 10 marzo 2015 il Giudice relatore Silvana
Sciarra; uditi gli avvocati Riccardo
Troiano per C . G . , Luigi
Caliulo e Filippo Mangiapane
per l'INPS e
l'avvocato dello Stato
Giustina Noviello per il Presidente del Consiglio dei ministri .
Ritenuto in fatto
1 . - Il Tribunale
ordinario di Palermo, sezione
lavoro, con
ordinanza del 6 novembre 2013, (r
. o . n . 35 del 2014),
la Corte
dei Conti, sezione giurisdizionale per la Regione Emilia-Romagna, con
due
ordinanze del 13 maggio 2014 (r .
o . n .
158 e r . o . n . 159 del 2014),
la Corte dei Conti, sezione
giurisdizionale per la Regione Liguria,
con ordinanza del 25 luglio 2014,
(r . o . n .
192 del 2014)
hanno sollevato questione di legittimita'
costituzionale del comma
25 dell'art . 24, del
decreto-legge del 6
dicembre 2011, n .
201 (Disposizioni urgenti per la crescita, l'equita' e il consolidamento dei conti pubblici),
convertito, con modificazioni, dall'
art . 1, comma 1 della legge 22
dicembre 2011, n . 214, nella
parte in cui prevede che
"In considerazione della
contingente situazione
finanziaria, la rivalutazione automatica dei
trattamenti pensionistici, secondo il meccanismo stabilito dall'art
. 34, comma 1, della legge 23 dicembre
1998, n . 448, e' riconosciuta, per gli
anni 2012 e 2013, esclusivamente ai trattamenti pensionistici di
importo complessivo fino a tre volte il trattamento minimo INPS, nella
misura del 100 per cento", in riferimento agli artt . 2,
3, 23, 36,
primo comma, 38, secondo comma, 53 e 117, primo comma, della
Costituzione .
Il Tribunale ordinario di
Palermo, sezione lavoro, premette
di essere stato adito per la condanna
dell'Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS) a
corrispondere al ricorrente i ratei
di pensione maturati e non percepiti nel biennio 2012-2013,
maggiorati di interessi e rivalutazione monetaria fino all'effettivo
soddisfo, previa
dichiarazione di illegittimita' costituzionale dell'azzeramento della
perequazione automatica delle
pensioni superiori a tre volte il trattamento minimo
INPS introdotto dalla norma censurata .
Il giudice rimettente rileva che
la discrezionalita' di cui gode il legislatore
nella scelta del
meccanismo perequativo diretto all'adeguamento delle pensioni,
fondata sul disposto degli artt . 36 e
38 Cost . , ha trovato il proprio meccanismo attuativo nel sistema
di perequazione automatica
dei trattamenti pensionistici, introdotto dall'art . 19 della legge 30 aprile 1969,
n . 153 (Revisione
degli ordinamenti pensionistici e norme in materia di sicurezza
sociale) . Aggiunge che il blocco introdotto dalla normativa
censurata reitera, rendendola piu' gravosa,
la misura di
interruzione del sistema perequativo gia' a suo tempo sancita
dalla legge 24 dicembre 2007, n . 247 (Norme di
attuazione del Protocollo
del 23 luglio
2007 su previdenza, lavoro e competitivita' per
favorire l'equita' e la
crescita sostenibili, nonche' ulteriori norme in materia di lavoro e previdenza
sociale), che era
limitata ai soli
trattamenti pensionistici
eccedenti otto volte
il trattamento minimo
INPS, nonostante il monito
rivolto al legislatore
dalla Corte costituzionale con
la sentenza n . 316 del 2010, teso
a rimuovere il rischio della frequente reiterazione di
misure volte a paralizzare il meccanismo perequativo .
Con la misura
censurata, secondo il
rimettente, si sarebbe violato l'invito della Corte,
mediante azzeramento della perequazione per i trattamenti pensionistici di piu'
basso importo, per due anni consecutivi e senza alcuna successiva
possibilita' di recupero .
Il giudice a quo richiama la giurisprudenza costituzionale (in particolare la sentenza n . 223 del
2012) secondo cui
la gravita' della situazione economica,
che lo Stato
deve affrontare, puo' giustificare anche
il ricorso a
strumenti eccezionali, con la
finalita' di contemperare
il soddisfacimento degli
interessi finanziari con la garanzia dei servizi e dei diritti dei
cittadini, nel rispetto del principio fondamentale di eguaglianza .
Deduce, quindi, la violazione
dell'art . 38, secondo comma, Cost . ,
poiche' l'assenza di rivalutazione impedirebbe la conservazione
nel tempo del valore
della pensione, menomandone
l'adeguatezza e dell'art . 36,
primo comma, Cost . ,
in quanto il
blocco della perequazione lederebbe
il principio di
proporzionalita' tra la pensione, che costituisce il
prolungamento della retribuzione
in costanza di lavoro, e il trattamento
retributivo percepito durante l'attivita' lavorativa .
Sostiene, altresi', la lesione
del combinato disposto degli artt . 36,
38 e 3 Cost . , poiche' la mancata rivalutazione, violando
il principio di proporzionalita' tra pensione e retribuzione e quello di
adeguatezza della prestazione previdenziale, altererebbe il principio di eguaglianza
e ragionevolezza, causando
una irrazionale discriminazione
in danno della categoria
dei pensionati . Deduce, inoltre, la
violazione del principio
di universalita'
dell'imposizione di cui all'art .
53 Cost . e
di quello di non
discriminazione ai fini dell'imposizione e di parita' di prelievo
a parita' di presupposto di imposta di cui al combinato disposto degli artt .
3, 23 e 53 Cost . , poiche', indipendentemente dal nomen iuris utilizzato, la misura adottata si configurerebbe quale
prestazione patrimoniale di natura
sostanzialmente tributaria, in
quanto doverosa, non connessa all'esistenza di un
rapporto sinallagmatico tra le
parti e
collegata esclusivamente alla
pubblica spesa in relazione ad un presupposto economicamente
rilevante .
2 . -
La Corte dei conti, sezione giurisdizionale
per la Regione Emilia - Romagna, che ha
sollevato con due
distinte ordinanze la questione di legittimita' costituzionale
del comma 25 dell'art .
24 del d . l . n .
201 del 2011,
come convertito, riferisce
che il ricorrente nel giudizio
principale lamentava la mancata rivalutazione automatica del proprio
trattamento pensionistico in
applicazione della norma oggetto di censura, per
effetto della esclusione
del meccanismo di perequazione per le pensioni di importo superiore a
tre volte il trattamento minimo INPS .
Evidenzia, alla
luce della giurisprudenza costituzionale, l'illegittimita' delle
frequenti reiterazioni di
misure intese a paralizzare il meccanismo perequativo, sottolineando, altresi',
il carattere peggiorativo
della norma censurata
rispetto all'art . 1, comma 19,
della legge n . 247 del 2007, cosi'
determinando il blocco dell'adeguamento dei trattamenti
superiori a tre volte, anziche'
a otto volte, rispetto al trattamento minimo INPS, avuto anche riguardo
alla vicinanza temporale rispetto all'ultimo
azzeramento attuato, nonche' alla
mancata previsione di un meccanismo di recupero .
In particolare, secondo il giudice a quo, il vizio
della norma censurata emerge ove
si consideri che
la natura di
retribuzione differita delle pensioni ordinarie e'
stata ormai definitivamente riconosciuta dalla Corte
costituzionale (viene richiamata la sentenza n . 116 del 2013) . Il maggior prelievo tributario rispetto
ad altre categorie risulta, con
piu' evidenza, discriminatorio, poiche'
grava su redditi ormai
consolidati nel loro ammontare, collegati
a prestazioni lavorative gia' rese da cittadini che hanno esaurito
la loro vita lavorativa, rispetto ai quali non risulta
piu' possibile ridisegnare sul
piano sinallagmatico (condizionalità
reciproca tra le prestazioni)
il rapporto di
lavoro, con conseguente lesione
degli artt . 3 e 53 Cost .
Ad avviso della Corte rimettente,
il mancato adeguamento
delle retribuzioni equivale a una loro decurtazione in termini
reali con effetti permanenti,
ancorche' il blocco sia formalmente temporaneo, non essendo previsto alcun
meccanismo di recupero, con
conseguente violazione degli artt .
3, 53, 36 e 38 Cost . Tale blocco
incide sui pensionati, fascia per
antonomasia debole per eta' ed
impossibilita' di adeguamento del
reddito, come evidenziato
dalla Corte costituzionale,
secondo la quale i redditi derivanti dai
trattamenti pensionistici non hanno, per questa loro origine, una
natura diversa e minoris generis
rispetto agli altri redditi presi a riferimento, ai fini dell'osservanza
dell'art . 53 Cost . , che non consente
trattamenti in peius di determinate
categorie di redditi
da lavoro (viene richiamata ancora la sentenza n . 116 del 2013) .
La Corte dei conti aggiunge
che l'introduzione di
un'imposta speciale, sia pure transitoria ed eccezionale,
viola il principio della parita'
di prelievo a
parita' di presupposto
d'imposta economicamente rilevante e che, quindi, il blocco della perequazione si traduce in una lesione del
combinato disposto di cui agli artt . 3
e 53 Cost . , in quanto la norma censurata limita i destinatari
della stessa soltanto ad una
"platea di soggetti
passivi", cioe' ai percettori del trattamento pensionistico,
in violazione del principio della universalita' della imposizione .
Essa sottolinea, inoltre, come
l'intervento legislativo evidenzi il
carattere sempre piu' strutturale del
meccanismo di azzeramento della rivalutazione
e non quello
di misura eccezionale, non reiterabile, senza
osservare il monito
espresso dalla Corte costituzionale nella sentenza n . 316 del 2010, con riguardo ai gravi rischi
di irragionevolezza e
violazione della proporzionalita' derivanti dalla
frequente reiterazione delle
misure volte a paralizzare il meccanismo di perequazione
automatica, in quanto
le pensioni, anche di
maggior consistenza, potrebbero
non essere sufficientemente
difese in relazione ai
mutamenti del potere
di acquisto della moneta .
Deduce, poi, come la norma
censurata si presenti lesiva anche del principio di affidamento del cittadino
nella sicurezza giuridica, garantito dall'art .
3 Cost . , giacche'
i pensionati adeguano
i programmi di vita alle previsioni
circa le proprie
disponibilita' economiche, con conseguente pregiudizio per le
aspettative di vita di questi ultimi .
Sostiene, quindi, la palese irragionevolezza del
provvedimento censurato e l'irrazionalita' dello stesso per
eccedenza del mezzo rispetto al
fine, dovendo provvedersi
ad esigenze quali
la "contingente
situazione finanziaria" richiamata
dal legislatore mediante la
fiscalita' ordinaria, secondo il disposto di cui all'art . 53 Cost .
Invoca, infine, sulla base
dell'art . 117, primo
comma, Cost . , quale parametro
interposto, la Convenzione
europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo
e delle liberta'
fondamentali firmata a Roma 4 novembre 1950 (CEDU), ratificata e
resa esecutiva con legge 4 agosto
1955, n . 848, richiamando poi il principio
della certezza del diritto, quale patrimonio comune degli Stati
contraenti, nonche' il diritto dell'individuo alla liberta' e alla sicurezza
di cui all'art . 6 della
Carta dei diritti
fondamentali dell'Unione
europea, proclamata a
Nizza il 7
dicembre 2000 e
adattata a Strasburgo il 12
dicembre 2007, il diritto di non discriminazione che include anche quella
fondata sul patrimonio (art . 21), il diritto degli anziani di condurre una
vita dignitosa e
indipendente (art . 25), il
diritto alla protezione della famiglia sul
piano giuridico, economico e
sociale (art . 33)
ed il diritto
di accesso alle prestazioni di sicurezza sociale e ai
servizi sociali di cui all'art . 34 della medesima Carta .
3 . -
La Corte dei conti, sezione giurisdizionale
per la Regione Liguria, premette che la
ricorrente nel giudizio
principale era titolare di
pensione diretta e
di pensione indiretta
del Fondo dipendenti INPS e che
l'importo complessivo dei due
trattamenti era stato mantenuto
fermo anche negli anni 2012 e 2013,
in applicazione della norma
impugnata, aggiungendo che la parte aveva
agito per la condanna dell'INPS al
pagamento delle quote
di trattamento non corrisposte, previo promovimento
della questione di
legittimita' costituzionale della norma censurata .
Nel merito, osserva la Corte
rimettente che, pur avendo la Corte
costituzionale ammesso, in linea di
principio, la compatibilita' costituzionale di disposizioni
legislative che incidano su situazioni soggettive attinenti ai rapporti
di durata, facendosi
carico di esigenze di
contenimento della spesa pubblica,
la stessa ha, al
contempo, invitato il legislatore a
salvaguardare il principio
di ragionevolezza nelle manovre
economiche adottate, a
tutela degli interessi dei
cittadini (viene richiamata la sentenza
n . 316 del 2010) .
Nel caso del comma 25 dell'art
. 24 del d . l . n .
201 del 2011, come convertito, secondo il giudice a quo
difetterebbero i presupposti segnalati dalla giurisprudenza
costituzionale, atteso che, in primo luogo, l'intervento non avrebbe il
carattere realmente temporaneo voluto dal giudice delle leggi,
perche' esteso per un arco temporale di
due anni . Inoltre, esso non riguarderebbe
soltanto le pensioni piu' alte, incidendo, invece, sui
trattamenti pensionistici di piu' basso importo, superiori ad euro 1 .
405,05 lordi per il 2012 ed a euro 1 . 441,56 lordi per il 2013 . Per tali trattamenti, secondo
la Corte rimettente, la pressante
esigenza di rivalutazione sistematica
del correlativo valore monetario, che garantisce il soddisfacimento
degli stessi bisogni alimentari, sarebbe irrimediabilmente frustrata .
In particolare, lo
sganciamento dai meccanismi
di adeguamento automatico dei
trattamenti pensionistici superiori
a tre volte
il minimo INPS, per un tempo considerevole, minerebbe
il sistema di adeguamento costituzionalmente rilevante,
con violazione dei principi di cui agli artt .
36 e 38 Cost .
Come ricordato dal giudice
rimettente, la Corte costituzionale ha affermato (viene
citata la sentenza
n . 497 del
1988) che la protezione
cosi' garantita ai
lavoratori postula requisiti
di effettivita', tanto piu' che essa si collega alla tutela dei diritti fondamentali della persona sanciti
dall'art . 2 Cost . ,
mentre il perdurante necessario
rispetto dei principi
di sufficienza ed adeguatezza delle pensioni impone al
legislatore, pur nell'esercizio del suo
potere discrezionale di bilanciamento tra le
varie esigenze di politica
economica e le disponibilita' finanziarie, di individuare un meccanismo
in grado di
assicurare un reale
ed effettivo adeguamento dei
trattamenti di quiescenza alle variazioni
del costo della vita (il richiamo
e' alla sentenza n . 30 del 2004) .
Il Collegio
rimettente osserva, quindi,
che la Corte costituzionale, pur avendo
riconosciuto, con la sentenza n .
316 del 2010, la legittimita' di temporanee
sospensioni della perequazione,
anche se limitate alle
pensioni di importo
piu' elevato, ha, al
contempo, precisato che la
ragionevolezza complessiva del
sistema dovra' essere apprezzata nel quadro del contemperamento di interessi di rango costituzionale, alla luce
dell'art . 3 Cost .
Con cio' si intende evitare che una generalizzata
esigenza di contenimento della finanza
pubblica possa risultare sempre e comunque valido motivo per determinare la compromissione "di
diritti maturati o la lesione
di consolidate sfere di
interessi, sia individuali, sia
anche collettivi" (viene citata la sentenza n . 92 del 2013) .
Deduce, poi, il
contrasto con gli
artt . 3, 23,
53 Cost . , sollevando d'ufficio
la relativa questione, per essere stato
imposto con la norma censurata un sacrificio cospicuo ad una sola
categoria di cittadini, incorrendo
nella violazione del
principio di eguaglianza, a
causa della disparita' di trattamento che puo'
essere ravvisata nella differente previsione di prestazioni patrimoniali
a carico di soggetti titolari di redditi analoghi .
4 . -
Si e' costituito in giudizio (r . o . n
. 35
del 2014) C . G . , ricorrente nel giudizio principale
pendente dinanzi al
Tribunale ordinario di Palermo, sezione lavoro, instando per la
declaratoria di illegittimita'
costituzionale della disposizione legislativa censurata . Sostiene, in particolare, il pregiudizio per
l'adeguatezza delle prestazioni previdenziali,
la quale imporrebbe
la costante perequazione della
pensione al mutamento
dei valori monetari .
Aggiunge il difetto di qualsivoglia modalita' di recupero della somma
oggetto di blocco della perequazione per il biennio 2012-2013
e la conseguente violazione degli
artt . 3, 36, primo comma, e 38, secondo comma, Cost . , in quanto il criterio
adottato sarebbe irragionevole, lesivo del principio di
proporzionalita' tra pensione e retribuzione, nonche' del principio di
adeguatezza di cui all'art . 38 Cost
.
5 . - Si e', altresi', costituito
in tutti i giudizi, (r . o .
n . n . 35, 158, 159 e 192 del 2014), l'INPS, chiedendo che siano dichiarate manifestamente infondate le
questioni di legittimita' costituzionale
sollevate, alla luce della giurisprudenza costituzionale secondo cui spetta alla discrezionalita' del
legislatore, in conformita'
a un ragionevole bilanciamento
dei valori costituzionali, dettare
la disciplina di un adeguato trattamento
pensionistico alla stregua delle risorse disponibili, fatta
salva la garanzia di
salvaguardia delle esigenze minime di protezione della persona .
L'Istituto osserva, al riguardo,
che la norma censurata si limita a sospendere l'operativita' del meccanismo
rivalutativo esistente per un breve orizzonte temporale e a
salvaguardare le posizioni
piu' deboli sotto il profilo economico, evidenziando, altresi',
come la Corte, con
la sentenza n .
316 del 2010,
abbia gia' deciso, respingendola, analoga
questione di legittimita'
costituzionale dell'art . 1,
comma 19, della legge n . 247 del 2007
ed aggiungendo che la mancata perequazione per un tempo
limitato della pensione
non incide sulla sua adeguatezza,
in particolare per
le pensioni di importo piu' elevato .
6 . - Ha proposto intervento
ad adiuvandum T . G . ,
premettendo di essere iscritto al
Fondo pensioni del personale delle Ferrovie
dello Stato spa, di non aver goduto, in forza dell'applicazione della
norma di cui al comma 25 dell'art . 24,
del d . l . n .
201 del 2011,
come convertito, degli aumenti di perequazione automatica per la
parte di pensione superiore a tre volte
il trattamento minimo
e di aver depositato analogo ricorso per
le proprie pretese
pensionistiche dinanzi alla sezione
giurisdizionale del Tribunale
amministrativo regionale del Lazio, allo
scopo di sentir
dichiarato il proprio diritto alla perequazione automatica
.
Assume, in
particolare, a sostegno
dell'ammissibilita' del
proprio intervento, il
difetto di tutela
per chi non
abbia partecipato al giudizio
principale, ma versi
nelle medesime condizioni delle
parti e, nel merito, la violazione degli
artt . 38, secondo comma, 36,
primo comma, e 3 Cost . , nonche', infine, dell'art . 53 e del combinato
disposto degli artt . 2, 23 e 53 Cost
.
7 . - E' intervenuto nei giudizi
il Presidente del Consiglio
dei ministri, rappresentato e
difeso dall'Avvocatura generale
dello Stato, instando per l'inammissibilita' o, comunque, per la manifesta infondatezza della questione
sollevata .
La difesa dello Stato eccepisce
preliminarmente il difetto della
previa domanda amministrativa, presupposto
dell'azione, la cui mancanza renderebbe la domanda
improponibile e adduce l'esistenza di
una temporanea carenza di giurisdizione, rilevabile
in qualsiasi stato e grado del
giudizio .
L'Avvocatura generale
rileva, in ogni
caso, la manifesta infondatezza della questione
riguardo a tutti i parametri segnalati e richiama la giurisprudenza
costituzionale, nonche' il principio dalla stessa espresso, secondo cui la
mancata perequazione della pensione per un periodo contenuto non incide
sull'adeguatezza del trattamento
pensionistico .
8 . - All'udienza pubblica, le
parti costituite hanno insistito per l'accoglimento delle conclusioni formulate
nelle difese scritte .
Considerato in diritto
1 . - Il Tribunale
ordinario di Palermo,
sezione lavoro, con ordinanza del 6 novembre 2013 (r . o
. n .
35 del 2014), la
Corte dei conti, sezione
giurisdizionale per la Regione Emilia-Romagna, con due ordinanze del 13 maggio
2014 (r . o . n . 158 e n .
159 del 2014)
e la Corte dei conti, sezione
giurisdizionale per la Regione Liguria,
con ordinanza del 25 luglio 2014 (r . o . n .
192 del 2014), dubitano della legittimita' costituzionale del comma
25 dell'art . 24, decreto-legge del 6 dicembre 2011, n . 201 (Disposizioni urgenti per
la crescita, l'equita' e il
consolidamento dei conti pubblici), convertito,
con modificazioni, dall'art . 1,
comma 1, della legge 22 dicembre 2011, n . 214, nella parte in cui,
per gli anni 2012 e
2013, limita la rivalutazione monetaria dei
trattamenti pensionistici nella
misura del 100 per
cento, esclusivamente alle
pensioni di importo complessivo fino
a tre volte
il trattamento minimo
INPS, in riferimento, nel complesso,
agli artt . 2, 3, 23, 36, primo comma,
38, secondo comma, 53 e 117, primo comma della Costituzione, quest'ultimo in
relazione alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e
delle liberta' fondamentali firmata a Roma il 4
novembre 1950 (CEDU), ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto
1955, n . 848 .
Tutti i giudici rimettenti
ritengono che il comma 25 dell'art . 24
sarebbe costituzionalmente illegittimo per violazione degli artt . 3, 36, primo comma, e 38, secondo comma,
Cost . , in quanto
la mancata rivalutazione,
violando i principi di proporzionalita' e
adeguatezza della prestazione previdenziale, si porrebbe
in contrasto con il
principio di eguaglianza e ragionevolezza, causando una
irrazionale discriminazione in danno della categoria dei pensionati
.
La norma censurata recherebbe
anche un vulnus agli artt . 2, 23 e 53
Cost . , poiche' la
misura adottata si
configurerebbe quale prestazione
patrimoniale di natura sostanzialmente tributaria,
in violazione del principio
dell'universalita' dell'imposizione a parita' di capacita' contributiva, in
quanto posta a carico di una
sola categoria di contribuenti .
La sola Corte dei conti, sezione
giurisdizionale per la Regione Emilia - Romagna censura, infine, la
predetta disposizione, anche con riferimento all'art . 117, primo comma, Cost . , in relazione alla
CEDU, richiamando, poi, gli artt . 6, 21, 25,
33 e 34
della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea,
proclamata a Nizza
il 7 dicembre 2000 e adattata a
Strasburgo il 12 dicembre 2007 .
2 . - I giudizi hanno ad
oggetto la stessa
norma, censurata in relazione
a parametri costituzionali, per
profili e con argomentazioni in larga misura
coincidenti .
Deve, pertanto, esser disposta la
riunione dei giudizi al fine di un'unica pronuncia (ex plurimis, sentenza n
. 16 del
2015, ordinanza n . 164 del 2014) .
Nel giudizio promosso dal
Tribunale ordinario di Palermo, sezione lavoro, ha spiegato intervento ad
adiuvandum T . G . , che non e' parte nel procedimento principale,
assumendo di aver
proposto analogo ricorso dinanzi
alla Corte dei conti, sezione giurisdizionale per la Regione Lazio, allo scopo di sentir
riconosciuto il proprio diritto alla perequazione automatica del
trattamento pensionistico, per gli anni 2012 e 2013, negato dall'INPS .
Secondo la costante
giurisprudenza di questa Corte (per
tutte, sentenza n . 216
del 2014), possono
intervenire nel giudizio incidentale di legittimita'
costituzionale le sole parti del giudizio principale ed
i terzi portatori
di un interesse
qualificato, immediatamente inerente al rapporto sostanziale dedotto in
giudizio e non semplicemente regolato, al pari di ogni
altro, dalla norma
o dalle norme oggetto di censura .
La circostanza che l'istante sia
parte in un giudizio diverso da quello
oggetto dell'ordinanza di
rimessione, nel quale
sia stata sollevata analoga
questione di legittimita'
costituzionale, non e' sufficiente a
rendere ammissibile l'intervento (ex
plurimis, ordinanza n . 150 del
2012) .
Conseguentemente, poiche' T . G
. non e' stato parte
del giudizio principale nel corso
del quale e' stata sollevata la
questione di legittimita'
costituzionale oggetto dell'ordinanza iscritta al n . 35 del reg .
ord . 2014, ne' risulta
essere titolare di
un interesse qualificato, inerente
in modo diretto
e immediato al
rapporto sostanziale dedotto in giudizio, l'intervento dallo stesso
proposto va dichiarato inammissibile .
3 . - La Corte dei conti, sezione
giurisdizionale per la
Regione Emilia-Romagna, nelle due ordinanze
di rimessione, dubita
della legittimita' costituzionale del comma 25 dell'art . 24 del d . l . n .
201 del 2011, come
convertito dalla legge
n . 214 del
2011, in riferimento, fra
l'altro all'art . 117, primo comma, Cost .
e invoca genericamente, quale
parametro interposto, la
CEDU, per poi richiamare, piu' specificamente, una
serie di disposizioni contenute nella
Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea .
In particolare, sono evocati,
oltre al principio della certezza del diritto quale "patrimonio
comune agli Stati contraenti", anche
" gli altri diritti garantiti dalla Carta: il
diritto dell'individuo alla liberta'
e alla sicurezza
(art . 6), il
diritto di non discriminazione, che include anche
quella fondata sul "patrimonio", (art . 21), il diritto degli anziani di condurre una
vita dignitosa ed indipendente (art .
25), il diritto alla protezione della famiglia sul piano giuridico,
economico e sociale (art . 33), il
diritto di accesso alle prestazioni di sicurezza sociale e
ai servizi sociali
(art . 34)" .
La questione, come prospettata,
e' inammissibile .
Va preliminarmente rilevato che
questa Corte ritiene configurarsi un'ipotesi di inammissibilita' della
questione, qualora il
giudice non fornisca una
motivazione adeguata sulla
non manifesta infondatezza della
stessa, limitandosi a
evocarne i parametri costituzionali, senza argomentare
in modo sufficiente in ordine alla loro
violazione (ex plurimis, ordinanza n .
36 del 2015) .
In tale ipotesi, il difetto nell'esplicitazione
delle ragioni di conflitto tra la norma
censurata e i parametri costituzionali evocati inibisce lo scrutinio nel merito
delle questioni medesime
(fra le altre, ordinanza n . 158 del 2011), con conseguente
inammissibilita' delle stesse .
Nel caso di specie, la Corte
rimettente si limita a
richiamare l'art . 117, primo
comma, Cost . , per
violazione della CEDU
"come interpretata dalla Corte di Strasburgo"
senza addurre alcun elemento a
sostegno di tale asserito vulnus, in
particolare con riferimento alle modalita'
di incidenza della norma oggetto di impugnazione sul
parametro costituzionale evocato .
Inoltre il richiamo alla CEDU si
rivela, nella sostanza, erroneo, atteso che esso risulta affiancato dal
riferimento a disposizioni normative riconducibili
alla Carta dei
diritti fondamentali dell'Unione
europea . Quest'ultima fonte, come risulta
dall'art . 6, comma 1 del Trattato
sull'Unione europea, come
modificato dal Trattato di Lisbona,
firmato il 13 dicembre 2007, ratificato
e reso esecutivo con la legge 2
agosto 2008, n . 130, ha
lo stesso valore giuridico dei trattati .
Pertanto, l'esame dell'ordinanza
di rimessione non consente
di evincere in qual modo le norme
della CEDU siano
compromesse, per effetto
dell'applicazione della disposizione oggetto di censura .
Una tale
carenza argomentativa costituisce
motivo di inammissibilita'
della questione di legittimita'
costituzionale, in quanto
preclusiva della valutazione della fondatezza .
Il giudice a quo non fornisce
sufficienti elementi che consentano di vagliare le modalita' di
incidenza della norma
censurata sul parametro
genericamente invocato ed omette di
allegare argomenti a sostegno degli effetti pregiudizievoli di
tale incidenza, richiamando erroneamente disposizioni normative afferenti
al diritto primario dell'Unione europea .
4 . - La questione di
costituzionalita' per violazione degli
artt . 2, 3, 23 e 53 Cost . , in
relazione alla presunta
natura tributaria della misura in
esame, non e' fondata .
Tutte le ordinanze di rimessione
affermano che, nel
caso di specie, indipendentemente
dal nomen iuris utilizzato, la misura
di azzeramento della rivalutazione automatica per gli anni 2012 e 2013, relativa ai trattamenti
pensionistici superiori a
tre volte il trattamento minimo INPS, configurerebbe
una prestazione patrimoniale di natura
tributaria, lesiva del
principio di universalita' dell'imposizione a parita' di
capacita' contributiva, in quanto posta a carico di una sola categoria di
contribuenti . Nell'imporre alle parti di concorrere alla spesa pubblica
non in ragione della propria capacita'
contributiva, essa violerebbe il principio di eguaglianza .
I rimettenti richiamano, in
particolare, le decisioni n . 116 del 2013 e n . 223
del 2012 nella
parte in cui
si afferma che la
Costituzione non impone una tassazione fiscale uniforme, con criteri assolutamente identici e
proporzionali per tutte
le tipologie di imposizione tributaria, ma esige un indefettibile
raccordo con la capacita' contributiva, in un quadro di
sistema informato a criteri di progressivita', come svolgimento
ulteriore, nello specifico campo
tributario, del principio di eguaglianza (in tal senso, fra le
piu' recenti, sentenza n . 10 del
2015) . Cio' si
collega al compito
di rimozione degli ostacoli economico-sociali che di fatto limitano
la liberta' e l'eguaglianza dei cittadini-persone umane, in spirito
di solidarieta' politica, economica e sociale di cui agli artt . 2 e 3 della Costituzione (ordinanza n . 341
del 2000, ripresa
sul punto dalla sentenza n . 223 del 2012) .
L'azzeramento della perequazione
automatica oggetto di censura, tuttavia, sfugge ai canoni della
prestazione patrimoniale di natura tributaria, atteso
che esso non
da' luogo ad
una prestazione patrimoniale
imposta, realizzata attraverso un atto
autoritativo di carattere
ablatorio, destinato a reperire risorse per l'erario .
La giurisprudenza di questa Corte
(ex plurimis, sentenze n . 219 e n
. 154
del 2014) ha
costantemente precisato che
gli elementi indefettibili della
fattispecie tributaria sono tre: la
disciplina legale deve essere
diretta, in via
prevalente, a procurare
una (definitiva) decurtazione patrimoniale a carico del soggetto
passivo;la decurtazione non deve integrare
una modifica di un rapporto sinallagmatico; le risorse, connesse
ad un presupposto economicamente rilevante e derivanti dalla
suddetta decurtazione, devono
essere destinate a sovvenire pubbliche spese .
Un tributo consiste in un
"prelievo coattivo che e' finalizzato al concorso alle pubbliche spese
ed e' posto a carico di un soggetto
passivo in base ad uno specifico indice
di capacita' contributiva" (sentenza n . 102 del 2008) . Tale indice deve esprimere l'idoneita' di
ciascun soggetto all'obbligazione tributaria (fra le prime, sentenze n .
91 del 1972, n . 97 del 1968, n . 89 del 1966, n . 16 del 1965
e n . 45 del 1964) .
Il comma 25
dell'art . 24 del d
. l . n . 201
del 2011, come convertito, che dispone per un biennio
il blocco del meccanismo
di rivalutazione dei trattamenti pensionistici superiori a tre
volte il trattamento minimo INPS, non
riveste, quindi, natura tributaria, in quanto non prevede una decurtazione
o un prelievo
a carico del titolare di un trattamento pensionistico
.
In base ai criteri elaborati da
questa Corte in
ordine alle prestazioni
patrimoniali, in assenza di una decurtazione patrimoniale o di un prelievo
della stessa natura a carico del
soggetto passivo,
viene meno
in radice il
presupposto per affermare
la natura tributaria della
disposizione . Inoltre, viene a mancare
il requisito che consente l'acquisizione
delle risorse al bilancio dello
Stato, poiche' la disposizione non fornisce, neppure in via indiretta,
una copertura a pubbliche spese, ma determina esclusivamente un
risparmio di spesa .
Il difetto dei requisiti propri
dei tributi e, in generale, delle prestazioni
patrimoniali imposte, determina,
quindi, la non fondatezza delle censure sollevate in
riferimento al mancato rispetto dei principi di progressivita' e di capacita' contributiva
.
5 . - La questione prospettata
con riferimento agli artt . 3,
36, primo comma, e 38, secondo comma, Cost . e' fondata .
La perequazione automatica, quale
strumento di adeguamento delle pensioni
al mutato potere di acquisto della moneta,
fu disciplinata dalla legge
21 luglio 1965,
n . 903 (Avviamento
alla riforma e miglioramento dei trattamenti di pensione
della previdenza sociale), all'art
. 10, con la finalita' di fronteggiare
la svalutazione che le prestazioni previdenziali subiscono
per il loro
carattere continuativo .
Per perseguire
un tale obiettivo,
in fasi sempre
mutevoli dell'economia, la disciplina
in questione ha
subito numerose modificazioni .
Con l'art . 19 della legge 30
aprile 1969, n . 153 (Revisione degli ordinamenti pensionistici e norme in
materia di sicurezza sociale), nel prevedere in via generalizzata
l'adeguamento dell'importo delle pensioni nel regime
dell'assicurazione obbligatoria, si
scelse di agganciare in
misura percentuale gli
aumenti delle pensioni all'indice del costo della vita
calcolato dall'ISTAT, ai fini della scala mobile delle retribuzioni dei
lavoratori dell'industria .
Con l'art . 11, comma 1, del decreto legislativo 30
dicembre 1992, n . 503, recante
"Norme per il riordinamento del sistema previdenziale dei lavoratori
privati e pubblici, a norma dell'art . 3
della legge 23 ottobre 1992, n . 421",
oltre alla cadenza
annuale e non
piu' semestrale degli aumenti a
titolo di perequazione
automatica, si stabili' che
gli stessi fossero
calcolati sul valore
medio dell'indice ISTAT dei prezzi al consumo per le famiglie di
operai ed impiegati . Tale
modifica mirava a
compensare l'eliminazione
dell'aggancio alle dinamiche salariali, al
fine di garantire
un collegamento con l'evoluzione del livello medio del tenore
di vita nazionale . L'art .
11, comma 2,
previde, inoltre, che
ulteriori aumenti potessero essere
stabiliti con legge
finanziaria, in relazione
all'andamento dell'economia .
Il meccanismo
di rivalutazione automatica
dei trattamenti
pensionistici governato dall'art .
34, comma 1,
della legge 23 dicembre
1998, n . 448
(Misure di finanza
pubblica per la stabilizzazione e lo sviluppo) si
prefigge di tutelare i trattamenti
pensionistici dalla erosione del potere di acquisto della moneta, che tende a
colpire le prestazioni
previdenziali anche in
assenza di inflazione . Con
effetto dal 1°
gennaio 1999, il
meccanismo di rivalutazione delle
pensioni si applica per ogni singolo beneficiario in funzione dell'importo
complessivo dei trattamenti corrisposti
a carico dell'assicurazione generale
obbligatoria . L'aumento della rivalutazione automatica opera, ai
sensi del comma 1
dell'art . 34 citato, in
misura proporzionale all'ammontare
del trattamento da rivalutare rispetto all'ammontare
complessivo .
Tuttavia, l'art 69, comma 1,
della legge 23 dicembre 2000, n . 388
(Disposizioni per la formazione del bilancio
annuale e pluriennale dello Stato - legge finanziaria
2001), con riferimento al meccanismo
appena illustrato di aumento della perequazione
automatica, prevede che esso
spetti per intero soltanto per le
fasce di importo
dei trattamenti pensionistici fino a
tre volte il
trattamento minimo INPS . Spetta nella misura del 90 per cento per le
fasce di importo da tre a cinque volte il trattamento minimo INPS ed e' ridotto
al 75 per cento per i trattamenti eccedenti il quintuplo del predetto
importo minimo . Questa
impostazione fu seguita dal legislatore in
successivi interventi, a conferma di un orientamento che
predilige la tutela delle
fasce piu' deboli .
Ad esempio, l'art .
5, comma 6, del
decreto-legge 2 luglio 2007, n . 81
(Disposizioni urgenti in materia finanziaria), convertito, con modificazioni, dall'art . 1,
comma 1, della legge
3 agosto 2007,
n . 127, prevede,
per il triennio 2008-2010, una perequazione al 100
per cento per le fasce di importo tra
tre e cinque volte il trattamento minimo INPS .
In conclusione,
la disciplina generale
che si ricava
dal complesso quadro storico-evolutivo della
materia, prevede che soltanto
le fasce piu'
basse siano integralmente tutelate dall'erosione indotta
dalle dinamiche inflazionistiche o,
in generale, dal ridotto potere di acquisto delle pensioni .
6 . - Quanto alle sospensioni del
meccanismo perequativo, affidate a
scelte discrezionali del legislatore, esse hanno seguito nel corso degli anni orientamenti diversi,
nel tentativo di
bilanciare le attese dei
pensionati con variabili esigenze
di contenimento della spesa .
L'art . 2 del decreto-legge 19 settembre
1992, n . 384
(Misure urgenti in materia di previdenza, di sanita' e di pubblico
impiego, nonche' disposizioni fiscali) previde che, in attesa della legge
di riforma del sistema pensionistico e, comunque, fino al
31 dicembre 1993, fosse sospesa
l'applicazione di ogni disposizione di legge,
di regolamento o di accordi collettivi,
che introducesse aumenti
a titolo di perequazione automatica
delle pensioni previdenziali
ed assistenziali, pubbliche e
private, ivi compresi
i trattamenti integrativi a
carico degli enti
del settore pubblico
allargato, nonche' aumenti a titolo di
rivalutazione delle rendite
a carico dell'INAIL . In sede di conversione di tale
decreto, tuttavia, con l'art .
2, comma 1-bis,
della legge 14
novembre 1992, n .
438 (Conversione in legge,
con modificazioni, del
decreto-legge 19 settembre 1992,
n . 384, recante
misure urgenti in
materia di previdenza, di sanita'
e di pubblico impiego, nonche'
disposizioni fiscali), si provvide a mitigare gli effetti della
disposizione, che dunque opero' non come
provvedimento di blocco della
perequazione, bensi' quale misura di contenimento della rivalutazione,
alla stregua di percentuali predefinite dal legislatore in riferimento al tasso
di inflazione programmata .
In seguito, l'art . 11, comma 5, della legge 24 dicembre
1993, n . 537 (Interventi
correttivi di finanza
pubblica), provvide a restituire, mediante un aumento una tantum
disposto per il 1994, la differenza tra inflazione programmata
ed inflazione reale,
perduta per effetto della disposizione di cui all'art . 2 della legge
n . 438 del 1992 . Conseguentemente, il blocco, originariamente previsto
in via generale e senza distinzioni reddituali dal legislatore del 1992,
fu convertito in una forma meno gravosa
di raffreddamento parziale della dinamica perequativa .
Dopo l'entrata in vigore del
sistema contributivo, il legislatore (art .
59, comma 13 della legge 27
dicembre 1997, n .
449, recante "Misure per la
stabilizzazione della finanza pubblica") ha imposto un azzeramento della
perequazione automatica, per
l'anno 1998 . Tale norma, ritenuta legittima da questa
Corte con ordinanza n . 256
del 2001, ha limitato
il proprio campo
di applicazione ai
soli trattamenti di importo medio - alto, superiori
a cinque volte
il trattamento minimo .
Il blocco, introdotto dall'art
. 24, comma 25,
come convertito, del d . l . n .
201 del 2011, come convertito, ora
oggetto di censura, trova un precedente nell'art . 1, comma 19, della legge
24 dicembre 2007, n . 247 (Norme di attuazione del Protocollo del
23 luglio 2007 su previdenza, lavoro e competitivita'
per favorire l'equita' e la
crescita sostenibili, nonche' ulteriori norme in materia di lavoro e previdenza
sociale) che, tuttavia,
aveva limitato l'azzeramento temporaneo della
rivalutazione ai trattamenti
particolarmente elevati, superiori a otto volte il trattamento minimo
INPS .
Si trattava - come si evince
dalla relazione tecnica al disegno di legge approvato dal Consiglio dei
ministri il 13 ottobre 2007 - di una
misura finalizzata a
concorrere
solidaristicamente al
finanziamento di interventi sulle pensioni di anzianita', a seguito, dell'innalzamento della
soglia di accesso
al trattamento pensionistico
(il cosiddetto "scalone") introdotto, a decorrere
dal 1° gennaio 2008, dalla legge 23 agosto 2004, n . 243 (Norme in materia pensionistica e
deleghe al Governo
nel settore della
previdenza pubblica, per il
sostegno alla previdenza complementare e all'occupazione stabile e per il riordino
degli enti di previdenza ed assistenza obbligatoria) .
L'azzeramento della perequazione,
disposto per effetto dell'art . 1, comma
19, della legge n . 247 del 2007,
prima citata, e' stato
sottoposto al vaglio di questa Corte, che ha deciso la questione con sentenza n . 316 del 2010 . In tale pronuncia questa Corte ha posto in evidenza la discrezionalita' di cui
gode il
legislatore, sia pure nell'osservare il principio
costituzionale di proporzionalita' e adeguatezza
delle pensioni, e
ha reputato non
illegittimo l'azzeramento, per il solo anno 2008, dei trattamenti
pensionistici di importo elevato (superiore ad otto volte
il trattamento minimo INPS) .
Al contempo, essa
ha indirizzato un
monito al legislatore, poiche' la
sospensione a tempo
indeterminato del meccanismo perequativo, o
la frequente reiterazione
di misure intese
a paralizzarlo, entrerebbero in
collisione con gli
invalicabili principi di ragionevolezza e proporzionalita' . Si
afferma, infatti, che "[ . . . ]
le pensioni, sia pure di maggiore consistenza,
potrebbero non essere sufficientemente difese in
relazione ai mutamenti
del potere d'acquisto della moneta" .
7 . - L'art . 24,
comma 25, del d
. l . n . 201
del 2011, come convertito, oggetto di censura nel
presente giudizio, si
colloca nell'ambito delle "Disposizioni urgenti per la crescita,
l'equita' e il consolidamento dei conti
pubblici" (manovra denominata
"salva Italia") e stabilisce
che "In considerazione della
contingente situazione finanziaria", la rivalutazione automatica
dei trattamenti pensionistici, in base
al gia' citato meccanismo stabilito
dall'art . 34, comma 1, della legge n .
448 del 1998, e'
riconosciuta, per gli anni 2012 e 2013, esclusivamente ai
trattamenti pensionistici di importo complessivo fino a tre volte
il trattamento minimo
INPS, nella misura del cento per cento .
Per effetto del dettato
legislativo si realizza un'indicizzazione al 100 per cento sulla
quota di pensione
fino a tre
volte il trattamento minimo INPS,
mentre le pensioni di importo superiore
a tre volte il minimo non
ricevono alcuna rivalutazione . Il
blocco integrale della
perequazione opera, quindi,
per le pensioni
di importo superiore a euro 1 . 217,00 netti .
Tale meccanismo si discosta
da quello originariamente previsto dall'art . 24,
comma 4, della
legge 28 febbraio
1986, n . 41 (Disposizioni per la formazione del
bilancio annuale e
pluriennale dello Stato - legge finanziaria 1986) e confermato dall'art
. 11
del decreto legislativo 30
dicembre 1992, n .
503 (Norme per
il riordinamento del sistema
previdenziale dei lavoratori
privati e pubblici, a norma
dell'articolo 3 della legge 23 ottobre
1992, n . 421), che
non discriminava tra
trattamenti pensionistici
complessivamente intesi, bensi' tra fasce di importo .
Secondo la normativa antecedente,
infatti, la percentuale
di aumento si applicava
sull'importo non eccedente
il doppio del trattamento minimo del fondo pensioni
per i
lavoratori dipendenti . Per le fasce di importo comprese fra il
doppio ed il
triplo del trattamento minimo la
percentuale era ridotta al 90 per cento .
Per le fasce di importo
superiore al triplo
del trattamento minimo
la percentuale era ridotta al 75 per cento .
Le modalita' di funzionamento
della disposizione censurata sono ideate per incidere sui trattamenti complessivamente intesi
e non sulle fasce di importo .
Esse trovano un
unico correttivo nella previsione secondo cui, per le pensioni
di importo superiore a tre
volte il
trattamento minimo INPS
e inferiore a
tale limite incrementato della
quota di rivalutazione
automatica spettante, l'aumento
di rivalutazione e' comunque attribuito fino a
concorrenza del predetto limite maggiorato .
La norma censurata e' frutto
di un
emendamento che, all'esito delle osservazioni rivolte al
Ministro del lavoro e delle politiche sociali (Camera dei Deputati,
Commissione XI, Lavoro
pubblico e privato, audizione
del 6 dicembre
2011), ha determinato
la sostituzione della originaria
formula . Quest'ultima prevedeva l'azzeramento della
perequazione per tutti
i trattamenti pensionistici di
importo superiore a due volte il trattamento
minimo INPS e, quindi, ad euro 946,00 .
Il Ministro chiari'
nella stessa audizione che la
misura da adottare
non confluiva nella
riforma pensionistica, ma era da intendersi quale "provvedimento da
emergenza finanziaria" .
La disposizione censurata ha
formato oggetto di un'interrogazione parlamentare (Senato della Repubblica,
seduta n . 93, interrogazione presentata l'8 agosto 2013, n
. 3 - 00321) rimasta inevasa, in cui si chiedeva
al Governo se
intendesse promuovere la
revisione del provvedimento, alla
luce della giurisprudenza costituzionale .
Dall'excursus storico compiuto
traspare che la norma oggetto di censura si discosta in
modo significativo dalla
regolamentazione precedente . Non
solo la sospensione ha una
durata biennale; essa incide anche sui trattamenti pensionistici
di importo meno elevato .
Il provvedimento legislativo
censurato si differenzia, altresi',
dalla legislazione ad esso successiva .
L'art . 1, comma 483, lettera e), della legge di
stabilita' per l'anno 2014 (legge
27 dicembre 2013, n . 147, recante
"Disposizioni per la formazione
del bilancio annuale
e pluriennale dello Stato-legge di stabilita'") ha
previsto, per il triennio 2014-2016, una rimodulazione
nell'applicazione della percentuale di perequazione automatica sul complesso dei
trattamenti pensionistici, secondo
il meccanismo di cui all'art .
34, comma 1, della legge n . 448
del 1998, con l'azzeramento per le sole
fasce di importo superiore a sei volte
il trattamento minimo INPS e per il solo
anno 2014 . Rispetto
al disegno di legge originario
le percentuali sono
state, peraltro,
parzialmente modificate .
Nel triennio in oggetto la perequazione si
applica nella misura del 100 per cento per i trattamenti
pensionistici di importo fino a tre volte il trattamento minimo, del 95 per
cento per i trattamenti di importo superiore a tre
volte il
trattamento minimo e
pari o inferiori a quattro volte
il trattamento minimo del 75 per cento
per i trattamenti oltre quattro volte e pari o inferiori a cinque
volte il trattamento minimo, del 50
per cento per i trattamenti
oltre cinque volte e pari o inferiori a sei volte
il trattamento minimo INPS .
Soltanto per il 2014 il blocco integrale della perequazione ha riguardato le fasce di importo superiore a
sei volte il trattamento minimo . Il legislatore torna dunque a proporre un
discrimen fra fasce di importo e si ispira a criteri di progressivita', parametrati
sui valori costituzionali della proporzionalita' e della
adeguatezza dei trattamenti di
quiescenza . Anche tale
circostanza conferma la singolarita' della norma oggetto di
censura .
8 . - Dall'analisi
dell'evoluzione normativa in
subiecta materia, si evince
che la perequazione automatica
dei trattamenti pensionistici e'
uno strumento di natura tecnica, volto
a garantire nel tempo il rispetto
del criterio di adeguatezza di cui all'art .
38, secondo comma, Cost .
Tale strumento si
presta contestualmente a innervare il principio di
sufficienza della retribuzione
di cui all'art . 36 Cost . , principio applicato, per costante
giurisprudenza di questa Corte,
ai trattamenti di
quiescenza, intesi quale retribuzione differita (fra le altre,
sentenza n . 208
del 2014 e sentenza n . 116 del 2013) .
Per le sue caratteristiche di
neutralita' e obiettivita' e per la sua strumentalita' rispetto
all'attuazione dei suddetti
principi costituzionali, la tecnica
della perequazione si
impone, senza predefinirne le
modalita', sulle scelte
discrezionali del legislatore,
cui spetta intervenire per determinare
in concreto il quantum di tutela di volta in volta
necessario . Un tale
intervento deve ispirarsi ai principi costituzionali di cui agli artt
. 36, primo comma, e
38, secondo comma,
Cost . , principi strettamente interconnessi, proprio in
ragione delle finalita' che perseguono .
La ragionevolezza di tali
finalita' consente di
predisporre e perseguire un
progetto di eguaglianza
sostanziale, conforme al dettato dell'art . 3, secondo comma, Cost . cosi' da evitare disparita' di trattamento
in danno dei
destinatari dei trattamenti pensionistici . Nell'applicare al
trattamento di quiescenza, configurabile quale
retribuzione differita, il
criterio di proporzionalita'
alla quantita' e qualita' del lavoro prestato
(art . 36, primo comma, Cost . ) e nell'affiancarlo al criterio di
adeguatezza (art . 38, secondo
comma, Cost . ), questa
Corte ha tracciato
un percorso coerente per il
legislatore, con l'intento
di inibire l'adozione di
misure disomogenee e
irragionevoli (fra le
altre, sentenze n . 208 del 2014
e n . 316
del 2010) . Il
rispetto dei parametri citati si
fa tanto
piu' pressante per
il legislatore, quanto piu' si
allunga la speranza di vita e con essa
l'aspettativa, diffusa fra quanti
beneficiano di trattamenti
pensionistici, a condurre un'esistenza
libera e dignitosa,
secondo il dettato dell'art . 36 Cost .
Non a caso, fin dalla sentenza n
. 26 del 1980, questa
Corte ha proposto una lettura
sistematica degli artt . 36 e 38 Cost . ,
con la finalita' di offrire
"una particolare protezione per il
lavoratore" . Essa ha affermato
che proporzionalita' e
adeguatezza non devono sussistere soltanto al momento del
collocamento a riposo, "ma vanno costantemente assicurate
anche nel prosieguo,
in relazione ai mutamenti
del potere d'acquisto
della moneta", senza
che cio' comporti un'automatica
ed integrale coincidenza tra il livello
delle pensioni e l'ultima retribuzione, poiche' e' riservata al
legislatore una sfera di discrezionalita' per l'attuazione, anche graduale,
dei termini suddetti (ex plurimis, sentenze n . 316 del 2010; n . 106
del 1996; n . 173 del 1986; n
. 26 del 1980; n . 46 del
1979; n . 176
del 1975; ordinanza n . 383 del
2004) . Nondimeno, dal canone dell'art
. 36 Cost . "consegue l'esigenza
di una costante
adeguazione del trattamento di
quiescenza alle retribuzioni
del servizio attivo" (sentenza n . 501 del
1988; fra le
altre, negli stessi
termini, sentenza n . 30 del
2004) .
Il legislatore, sulla base di
un ragionevole bilanciamento
dei valori costituzionali deve "dettare la
disciplina di un
adeguato trattamento pensionistico, alla
stregua delle risorse
finanziarie attingibili e fatta salva la garanzia irrinunciabile delle
esigenze minime di protezione della persona" (sentenza n . 316 del
2010) . Per scongiurare il
verificarsi di "un non sopportabile
scostamento" fra l'andamento
delle pensioni e delle retribuzioni, il
legislatore non puo' eludere il
limite della ragionevolezza (sentenza
n . 226 del 1993) .
Al legislatore spetta, inoltre,
individuare idonei meccanismi che assicurino la perdurante adeguatezza delle
pensioni all'incremento del costo
della vita . Cosi' e'
avvenuto anche per
la previdenza complementare, che,
pur non incidendo in maniera diretta e
immediata sulla spesa pubblica,
non risulta del
tutto indifferente per quest'ultima, poiche'
contribuisce alla tenuta
complessiva del sistema delle
assicurazioni sociali (sentenza n .
393 del 2000)
e, dunque, all'adeguatezza della prestazione previdenziale ex art .
38, secondo comma, Cost .
Pertanto, il criterio di ragionevolezza, cosi'
come delineato dalla
giurisprudenza citata in relazione ai principi contenuti negli artt .
36, primo comma, e 38, secondo
comma, Cost . , circoscrive
la discrezionalita' del legislatore e vincola le sue scelte all'adozione
di soluzioni coerenti con i parametri costituzionali .
9 . - Nel vagliare la dedotta
illegittimita' dell'azzeramento del meccanismo perequativo per i
trattamenti pensionistici superiori
a otto volte il minimo INPS per l'anno 2008 (art . 1,
comma 19 della gia' citata legge n . 247 del 2007), questa Corte ha
ricostruito la ratio della norma
censurata, consistente
nell'esigenza di reperire risorse necessarie "a
compensare l'eliminazione dell'innalzamento repentino a sessanta anni a
decorrere dal 1° gennaio 2008, dell'eta'
minima gia' prevista per l'accesso alla
pensione di anzianita'
in base all'articolo 1, comma 6, della legge 23 agosto 2004,
n . 243", con "lo scopo dichiarato
di contribuire al
finanziamento solidale degli interventi
sulle pensioni di
anzianita', contestualmente
adottati con l'art . 1, commi 1 e 2,
della medesima legge" (sentenza n .
316 del 2010) .
In quell'occasione questa Corte
non ha ritenuto che fossero stati violati i parametri di cui agli artt . 3,
36, primo comma,
e 38, secondo comma, Cost . Le pensioni incise per un solo anno dalla norma allora impugnata, di importo piuttosto
elevato, presentavano "margini di resistenza all'erosione
determinata dal fenomeno
inflattivo" . L'esigenza di
una rivalutazione costante
del correlativo valore monetario e' apparsa per esse meno
pressante .
Questa Corte ha ritenuto,
inoltre, non violato il principio
di eguaglianza, poiche' il
blocco della perequazione
automatica per l'anno 2008,
operato esclusivamente sulle pensioni
superiori ad un limite d'importo di sicura
rilevanza, realizzava "un
trattamento differenziato di situazioni obiettivamente diverse rispetto
a quelle, non incise dalla norma
impugnata, dei titolari
di pensioni piu' modeste" . La previsione generale della
perequazione automatica e' definita da questa Corte "a
regime", proprio perche'
"prevede una copertura
decrescente, a mano a mano che aumenta
il valore della prestazione" . La scelta del legislatore in quel caso era
sostenuta da una ratio redistributiva del sacrificio imposto, a
conferma di un principio solidaristico, che affianca
l'introduzione di piu' rigorosi criteri di accesso al trattamento di quiescenza .
Non si viola
il principio di eguaglianza, proprio perche' si muove dalla ricognizione
di situazioni disomogenee .
La norma, allora oggetto
d'impugnazione, ha anche
superato le censure di palese
irragionevolezza, poiche' si e' ritenuto che non vi fosse riduzione
quantitativa dei trattamenti in godimento
ma solo rallentamento della
dinamica perequativa delle pensioni
di valore piu' cospicuo . Le esigenze
di bilancio, affiancate
al dovere di solidarieta', hanno fornito
una giustificazione ragionevole
alla soppressione della rivalutazione automatica annuale per i trattamenti
di importo otto volte superiore al
trattamento minimo INPS,
"di sicura rilevanza", secondo questa Corte, e, quindi,
meno esposte al rischio di inflazione .
La richiamata pronuncia ha inteso
segnalare che la sospensione a tempo
indeterminato del meccanismo perequativo, ovvero la
frequente reiterazione di misure
intese a paralizzarlo,
"esporrebbero il
sistema ad evidenti
tensioni con gli
invalicabili principi di ragionevolezza e proporzionalita'",
poiche' risulterebbe incrinata la principale
finalita' di tutela,
insita nel meccanismo
della perequazione, quella che
prevede una difesa
modulare del potere d'acquisto delle pensioni .
Questa Corte si era
mossa in tale
direzione gia' in
epoca risalente, con il ritenere di dubbia legittimita' costituzionale un intervento che incida "in misura
notevole e in maniera
definitiva" sulla
garanzia di adeguatezza
della prestazione, senza
essere sorretto da una
imperativa motivazione di
interesse generale (sentenza n
. 349 del 1985) .
Deve rammentarsi
che, per le
modalita' con cui
opera il meccanismo della
perequazione, ogni eventuale perdita del
potere di acquisto del
trattamento, anche se limitata a periodi brevi, e', per sua natura, definitiva . Le successive rivalutazioni saranno, infatti,
calcolate non sul valore reale originario, bensi' sull'ultimo importo nominale,
che dal mancato adeguamento e' gia' stato intaccato .
10 . - La censura relativa al
comma 25 dell'art . 24 del d . l . n .
201 del 2011, se vagliata sotto
i profili della
proporzionalita' e adeguatezza
del trattamento pensionistico, induce
a ritenere che siano stati valicati i limiti di
ragionevolezza e proporzionalita', con conseguente pregiudizio
per il potere di acquisto del trattamento stesso e
con "irrimediabile vanificazione delle
aspettative legittimamente nutrite dal lavoratore per il tempo
successivo alla cessazione della
propria attivita'" (sentenza n .
349 del 1985) .
Non e'
stato dunque ascoltato
il monito indirizzato
al legislatore con la sentenza n .
316 del 2010 .
Si profila
con chiarezza, a
questo riguardo, il
nesso inscindibile che lega il dettato degli artt . 36, primo comma, e 38,
secondo comma, Cost . (fra le piu'
recenti, sentenza n . 208 del 2014, che richiama la sentenza n . 441 del 1993) . Su questo terreno si deve esercitare il legislatore nel proporre
un corretto bilanciamento, ogniqualvolta si profili
l'esigenza di un risparmio di
spesa, nel rispetto di un
ineludibile vincolo di scopo "al fine di
evitare che esso possa pervenire
a valori critici, tali che potrebbero
rendere inevitabile l'intervento correttivo della Corte" (sentenza
n . 226 del 1993) .
La disposizione
concernente l'azzeramento del
meccanismo perequativo, contenuta nel comma 24 dell'art . 25
del d . l . 201
del 2011, come convertito, si
limita a richiamare
genericamente la
"contingente situazione finanziaria", senza che emerga
dal disegno complessivo la
necessaria prevalenza delle esigenze
finanziarie sui diritti oggetto
di bilanciamento, nei cui confronti
si effettuano interventi cosi'
fortemente incisivi . Anche in sede
di conversione (legge 22 dicembre
2011, n . 214), non
e' dato riscontrare
alcuna documentazione
tecnica circa le
attese maggiori entrate,
come previsto dall'art . 17,
comma 3, della legge 31 dicembre 2009, n .
196, recante "Legge di contabilita' e finanza pubblica" (sentenza
n . 26 del 2013, che interpreta
il citato art . 17 quale
"puntualizzazione tecnica" dell'art . 81 Cost . ) .
L'interesse dei pensionati, in
particolar modo di quelli titolari di trattamenti previdenziali modesti, e'
teso alla conservazione del potere di
acquisto delle somme percepite, da
cui deriva in
modo consequenziale il diritto a una prestazione previdenziale
adeguata . Tale diritto,
costituzionalmente fondato, risulta irragionevolmente sacrificato nel nome
di esigenze finanziarie
non illustrate in dettaglio . Risultano,
dunque, intaccati i diritti fondamentali connessi al
rapporto previdenziale, fondati
su inequivocabili parametri
costituzionali: la proporzionalita' del
trattamento di quiescenza,
inteso quale retribuzione
differita (art . 36,
primo comma, Cost . ) e l'adeguatezza
(art . 38, secondo
comma, Cost . ) . Quest'ultimo e'
da intendersi quale espressione certa, anche
se non esplicita, del principio
di solidarieta' di cui all'art . 2 Cost
. e al contempo attuazione del principio
di eguaglianza sostanziale di cui all'art .
3, secondo comma, Cost .
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