Ogni volta che mi capita di incontrarvi
per strada o al supermercato, di vedervi sospesi in un timido e raro raggio di sole, illusorio, che sembra allentare la morsa del quotidiano
fluire richiamando a festa, voi due non passate inosservati.
Tuo padre, dritto e dal
portamento elegante, regale direi, ti tiene sempre per mano, guidando con una specie
di severa e ferma dolcezza, i tuoi passi incerti; come tuo padre anche tu
indossi sempre gli stessi calzoni morbidi, dal cavallo basso, ottomani direi, ma
hai tutte per te un paio di scarpette
da ginnastica “fighe”, che vuol dire alla moda, che immagino siano quelle che
qualunque ragazzo di oggi vorrebbe e dovrebbe poter indossare, che spiccano
nel loro biancore. Scarpette evidentemente
calzate da piedi stranamente troppo piccoli per un ragazzo della tua statura e
della tua presunta età e le cui punte si avvicinano tra di loro quando cammini a
fatica, teneramente goffo. Chissà da dove venite, chissà chi siete e perché siete
qui, quali sono i vostri desideri e speranze, mi chiedo ogni volta che mi
capita di incontrarvi.
E quella papalina rosso fuoco,
che ti ricopre giusto la punta della testa: deve piacerti molto, visto che non
ti ho mai visto senza, e visto che oramai ti riconosco da quella. Deve essere la tua
copertina di Linus: mi fai tornare in mente i miei figli quando, da bambini,
volevano portare con sé ovunque andassero il loro giocattolo prediletto o
qualunque altra cosa fosse l’oggetto essenziale per sentirsi al sicuro, e soprattutto
per sentirsi sicuri di sé stessi.
Già, ma tu non sei un bambino. O per
lo meno non di età anagrafica; invece il tuo sguardo e il tuo sorriso saranno eternamente
fanciulleschi, eternamente stupiti sul mondo, oggi su questa terra che evidentemente
non ti è madre e su questo vociare di suoni che evidentemente non sono i suoni
a te familiari, tu straniero.
Sarai eternamente fanciullo, sconosciuto senza
nome ma presente, ogni volta (e saranno tante) che abbandonerai la tua mano
fiduciosa nella mano di tuo padre.
Ieri è accaduto qualcosa d’altro oltre il mio osservare e immaginare.
Una giornata come tante, con il
tempo che scorre e che non è mai abbastanza.
Io, vagamente infastidita dal dover concentrare in quei pochi ultimi minuti residui del pomeriggio che cede
il passo alla sera tante e non procrastinabili commissioni, vi incrocio.
Ma questa volta non siete a
distanza, non siete qualche passo di lato o peggio indietro: siete lì di fronte
a me quando la porta d’ingresso di un anonimo studio medico mi lascia entrare. Quasi
ci scontriamo.
Tu sei sempre tu, con le tue
scarpette bianche, la tua papalina rossa, i calzoni ottomani e il tuo usuale
sorriso di chi è altrove.
Il mio sguardo incrocia quello di
tuo padre, invece insolitamente stanco ed impercettibilmente cupo, quasi contenesse
una vastità senza confini, indecifrabile, e ci soffermiamo l’uno negli occhi
dell’altra un attimo più del dovuto.
In quell'attimo più del dovuto il
mio cuore si è stretto, mi si è chiusa la gola e ho sentito le lacrime che salivano agli occhi, lacrime che sono riuscita a trattenere a fatica. In quell'attimo ho sentito in me la fatica, le difficoltà stratificate, le preoccupazioni e soprattutto ho sentito la
forza di volere amarti e proteggerti.
Ho sentito la solitudine, la distanza, la
nostalgia. Ero io a tenerti la mano e tu eri mio figlio. Avrei voluto
abbracciarvi, tenervi stretti e farvi sentire
questo mio sentire; forse banalmente, avrei voluto farvi sentire di non essere
soli.
Tu, padre, devi aver capito perché
il tuo sorriso, accennato ma certo, quasi grato e non di circostanza, è stato
più limpido del migliore dei discorsi. Incerta se dire qualcosa o tacere, sono
rimasta immobile e in silenzio.
Poi ho aperto la porta per voi e, ferma sulla
soglia con una stupida maniglia in mano vi ho guardato uscire ed allontanarvi.
Non ci siamo scambiati saluti, né altri sorrisi ma solamente, io e tuo padre, un cenno di capo: il suo di cortese
ringraziamento, il mio omaggio di rispettosa ammirazione, come si conviene ad
un valido, ed anonimo, usciere a servizio di una famiglia reale.
Valentina
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