Abolire la massoneria? Nessun esponente delle
istituzioni può rispondere sì in modo formale. Non le procure, né la
commissione parlamentare antimafia. Ma le loro indagini hanno stretto i liberi
muratori in una morsa politico-giudiziaria senza precedenti dai tempi della P2
(marzo 1981) quando Licio Gelli, il Venerabile per eccellenza, gestiva un
potere occulto, alternativo allo Stato democratico, raccogliendo un’oligarchia
di deputati, ministri, generali, imprenditori e criminali che si erano
sottratti alle leggi della Repubblica.
Oggi i parlamentari sono spariti, almeno così
dicono i Maestri. Ma i guai giudiziari rimangono. Forse perché in 35 anni la
legge 17 del 1982 sulle associazioni segrete, firmata da Tina Anselmi e da
Giovanni Spadolini, non certo un massonofobo, è rimasta inapplicata. I due
tentativi fatti nel 1992 dal procuratore di Palmi, Agostino Cordova, e negli
anni Duemila dall’allora pm di Catanzaro Luigi De Magistris (inchieste Why not
e Poseidone), non hanno raggiunto risultati significativi.
Stefano Bisi alla guida del Grande Oriente
d’Italia dal 2014: «Confido nell'archiviazione dell'inchiesta. Non capisco
l’accanimento contro di noi sugli elenchi, ci vogliono mettere il triangolo
rosso come ai tempi delle persecuzioni naziste. Noi collaboriamo. Se le procure
ci danno l’elenco dei mafiosi, provvediamo subito a cacciarli»
Tre decenni e mezzo dopo Tina Anselmi, la
presidente dell’Antimafia Rosy Bindi ha chiesto, come fece Cordova nel 1992,
l’esibizione degli elenchi ai Gran Maestri con scadenza 8 febbraio.
Le resistenze opposte dalle due obbedienze più
frequentate, il Grande Oriente d’Italia e la Gran Loggia degli Alam (antichi
liberi accettati muratori), hanno seri appigli giuridici nella libertà di
associazione prevista dalla Costituzione, più che dalla legge sulla privacy ed
è prevedibile che lo scontro durerà a lungo.
Di certo Gelli, a poco più di un anno dalla sua
morte, sembra avere seminato anche troppo bene. Come alla fine dell’Ottocento,
è tornato di moda il motto del garibaldino e deputato Felice Cavallotti: «Non
tutti i massoni sono delinquenti, ma tutti i delinquenti sono massoni».
La cronaca sembra confermare il teorema. In
Calabria le inchieste Meta, Lybra, Decollo Money, Purgatorio, Fata Morgana,
solo per citarne alcune, rivelano una compenetrazione fra ’ndrangheta e
massoneria dove la seconda avrebbe inglobato la prima, come ha sintetizzato in
una celebre intercettazione il boss di Limbadi Pantaleone Mancuso “Vetrinetta”.
In Sicilia, nel trapanese in particolare, il binomio fra grembiuli e Cosa
nostra sembra solido quanto lo è in Calabria.
A Roma Giulio Occhionero, ingegnere informatico
e hacker con server negli Stati Uniti, arrestato a gennaio, spiava politici,
manager ed esponenti dell’intelligence, senza dimenticare circa 300 suoi
fratelli del Grande Oriente d’Italia (Goi).
Siena, la città del Gran Maestro del Goi Stefano
Bisi, è stata scossa da uno scandalo ad alta densità massonica come quello del
Monte dei Paschi, che ha coinvolto lo stesso Bisi (intervista a pagina 12). E
l’aeroporto della città del Palio, un’avventura chiusa con un buco da 9 milioni
di euro, ha travolto la società di gestione presieduta da Enzo Viani, l’uomo
che amministra l’immobiliare del Goi (Urbs).
Anche il crac della Bf dei costruttori Roberto
Bartolomei e Riccardo Fusi, molto vicino a Denis Verdini, ha coinvolto alcuni
iniziati fra le colonne di Jachin e Boaz.
Perfino il tormentato caso Cucchi ha visto la
fallita ricusazione da parte della famiglia del perito e medico legale
Francesco Introna, massone in sonno.
Vietato generalizzare, certo. I massoni si sono
difesi attaccando le magagne dei partiti o dei preti pedofili. Ma i partiti non
si sono mai più ripresi sul serio dallo choc di Tangentopoli e la Chiesa,
quanto meno, si è dissanguata in cause di risarcimento.
La massoneria, invece, prospera a dispetto degli
scandali. In alcune zone, forse proprio grazie alla sua aura di impunità e
riservatezza, oltre alla capacità di fornire una rete relazionale a livello
nazionale e internazionale.
Anche ai vertici della libera muratoria qualcuno
teme che le logge abbiano accolto un tasso di criminali superiore alla media e
che le tegolature, come i massoni chiamano i controlli di ingresso sui
candidati o “bussanti”, siano state poco conformi alle norme edilizie del Gadu,
il grande architetto dell’universo sul quale l’iniziato deve giurare.
Statistiche e interpretazioni
Tutti i Gran Maestri negano in modo risoluto che
esistano logge segrete e che sia ancora in voga l’iniziazione all’orecchio (o
“sulla spada”) nota soltanto al Venerabile che guida la loggia. Sono anche
concordi nel riferire la grande crescita di iscrizioni all’aumento delle
vocazioni esoteriche, in una fase di crisi dei valori.
Qualunque sia il motivo, i dati raccontano una
storia di successo. Nel 1992, in piena tempesta Cordova, quando il gran maestro
cosentino Ettore Loizzo denunciava all’allora numero uno del Goi Giuliano Di
Bernardo che 28 logge calabresi su 32 erano in mano alla ’ndrangheta, i
fratelli in Calabria erano circa 800 su circa 9 mila affiliati in Italia.
Dopo il boom di iscrizioni a livello nazionale
durante i 15 anni di granmaestranza di Gustavo Raffi (21 mila in 802 logge),
l’attuale Gran Maestro Stefano Bisi ha dichiarato che su 23 mila iscritti al
Goi in 805 logge (dati al 31 dicembre 2015) ce ne sono 2634 in Calabria e 2208
in Sicilia. Il 21 per cento degli affiliati è nelle due regioni più a sud
dell’Italia. Le logge calabresi sono passate dalle 32 dei tempi di Loizzo alle
attuali 80. La stessa proporzione (21 per cento) vale per la Gran loggia
regolare d’Italia, obbedienza fondata da Di Bernardo e retta da Fabio Venzi con
2400 iscritti in Italia.
La Gran Loggia degli Alam di Antonio Binni,
seconda obbedienza in Italia con 8114 iscritti, ha la proporzione più bassa con
complessivi 1357 fratelli calabro-siculi (16,7 per cento). In compenso 104
logge degli Alam su 510 totali sono in Calabria o in Sicilia (20,3 per cento).
La piccola Serenissima Gran Loggia di Massimo
Criscuoli Tortora (197 membri) ha la percentuale più alta con circa 60 fratelli
affiliati alle tre logge calabresi (30 per cento) oltre agli iscritti alla
loggia di Messina-Catania.
Per ovvi motivi non si hanno cifre sulle
obbedienze irregolari o spurie che sovrastano in numero le circa dieci
obbedienze regolari. Le massonerie fai da te sono 124 secondo Criscuoli Tortora
e 192 secondo Binni, di cui 97 nella sola Arezzo, patria di Gelli.
La sproporzione è evidente, considerato che i
residenti di Calabria e Sicilia sono 7 milioni, cioè l’11 per cento della
popolazione nazionale. Inoltre, non è dato sapere quanti calabresi e siciliani
siano affiliati a logge che non sono in Calabria o in Sicilia, per non parlare
delle logge estere facenti capo a obbedienze italiane in vari paesi: Malta,
Libano, Romania, Ucraina e in Canada a Toronto, città strategica nello
scacchiere internazionale del crimine italo-americano.
Trapani esoterica
Nelle varie obbedienze si nota una prevalenza di
iscritti a livello provinciale di Reggio, per la Calabria, e di Trapani, per la
Sicilia, con una particolare vivacità esoterica a Campobello di Mazara e a
Castelvetrano. È il regno di Matteo Messina Denaro, il capo latitante di Cosa
nostra. Già nel 1986 a Trapani è emerso il radicamento della massoneria più
oscura quando la polizia scoprì che il centro studi Scontrino era la copertura
di sette logge inaugurate da Gelli sei anni prima e frequentate da politici,
imprenditori e mafiosi.
Le spiegazioni date dai responsabili a questo
surplus di spirito iniziatico in Calabria e a Trapani sono le più varie.
Sostiene Bisi che la prima Loggia italiana
sarebbe stata fondata a Girifalco (Catanzaro) nel Settecento e si sa che i
calabresi amano le loro tradizioni.
Binni invece ha preso le distanze e dice: «Io
non sono amato dai fratelli di Calabria e Sicilia. Hanno moltiplicato il numero
di logge per contrastare la mia elezione».
Più articolato il discorso di Venzi. In commissione
antimafia il Gran Maestro con maggiore anzianità in circolazione (è stato
eletto nel 2001 a 39 anni) ha dichiarato: «Bisogna verificare gli ambienti di
Rotary, Lions e Kiwanis, dove massoni regolari e irregolari si incontrano. La
’ndrangheta sceglie le obbedienze spurie piuttosto che sopportare le nostre
riunioni a carattere filosofico-culturale».
Il presidente Bindi ha colto l’assist e ha
replicato: «Questa è gente che si fa anni di galera. Si figuri se si spaventano
per una conferenza».
Ma il tema della cinghia di trasmissione fra
massoneria ufficiale, non ufficiale e associazioni paramassoniche non è da
trascurare. Nel tempio, come sostiene Venzi, «un fratello non mi deve sbagliare
una deambulazione». Vietatissimo parlare d’affari. In una cena al Rotary è
diverso. Non si portano guanti e grembiule. L’ambiente è più informale. E il
Venerabile o gli Ispettori Magistrali non sorvegliano.
Più problematico è il ragionamento sulle
massonerie irregolari. Che ci sia una proliferazione è indiscutibile. Basta
navigare mezz’ora sul web per essere sommersi da sigle mistiche rette da Gran
Commendatori e Supremi Sovrani, in un’orgia di abbreviazioni che ricorda le
targhe sulla porta dei direttori galattici nei film di Fantozzi.
È vero che per creare un’associazione massonica
bastano cinque minuti, sette persone un notaio. Ma poi?
Aldo Alessandro Mola, storico di riferimento
della massoneria in Italia, risponde: «Non vedo quale interesse potrebbe avere
la ’ndrangheta a inserirsi in logge massoniche spurie che non hanno contatti su
base nazionale o internazionale con le obbedienze regolari. Anche quando si
parla di P2, se ne parla in modo inesatto. La P2 non era affatto una loggia
coperta. Era una loggia speciale affiliata al Goi con tre caratteristiche.
Primo: l’iniziazione non avveniva in loggia. Secondo: non c’era diritto di
visita ossia altri fratelli non potevano visitare la loggia. Terzo: non c’era
obbligo di riunioni. Infatti la P2 non si è mai riunita. La loggia di Gelli era
una replica della Propaganda massonica, costituita nel 1877 come vetrina e
fiore all’occhiello del Goi tanto che i fratelli erano dispensati dal pagare le
quote. Anche la P2 aveva capitazioni ridicole. Il cantante Claudio Villa
versava 2 mila lire all’anno e lo scrittore Roberto Gervaso 60 mila. Erano
somme piccole anche negli anni Settanta».
Ingiustizia massonica
La giustizia interna alla massoneria, esercitata
in parallelo con quella dello Stato o “profana”, è un tema chiave dello
scontro. Per quanto i giuramenti sulle costituzioni dei liberi muratori siano
abbinati alla dichiarazione di fedeltà alla Costituzione della Repubblica e
alla presentazione di certificati giudiziari e di carichi pendenti,
l’indulgenza della giustizia massonica è un dato di fatto. Il timore è che
questa inclinazione al perdonismo si estenda alle aule dei tribunali ordinari
quando un fratello giudica un fratello o alle commissioni parlamentari quando un
fratello scrive una legge che può favorire altri fratelli.
Anche su questo i Gran Maestri, alle domande di
Rosy Bindi, hanno dato una risposta compatta: nelle logge non ci sono
magistrati, che non possono starci pena censura del Csm, e non ci sono parlamentari.
Dipendenti pubblici sì, militari sì,
professionisti in abbondanza e persino qualche sacerdote, ma nessuna traccia
degli oltre 100 deputati e senatori che furono trovati negli elenchi della P2.
E i santisti? Mai sentiti nominare, hanno
risposto compatti i Gran maestri a proposito degli esponenti riservati del
crimine organizzato. Nemmeno del progetto separatista al Sud, durante la
transizione fra Prima e Seconda Repubblica, si è parlato direttamente nell’aula
della Commissione a palazzo San Macuto. Se ne stanno occupando i magistrati fra
Sicilia e Calabria tirando le fila di una tradizione che inizia con il massone
Andrea Finocchiaro Aprile, antifascista e leader indipendentista, figlio di
Camillo, carbonaro, massone e ministro del Regno.
Anche sui picciotti ordinari di Cosa nostra e
’ndrangheta la giustizia massonica è stata piuttosto pigra. A fronte
dell’emergenza mafiosa, Raffi e Binni hanno demolito in 17 anni tre logge nel
reggino (Caulonia, Brancaleone, Gerace) e una nel Lazio, per insufficienza di
iscritti. Un altro caso è significativo. Nel 1992, mentre reggeva il Goi, Di
Bernardo ha abbattuto la Rispettabile Loggia Colosseum di Roma, creata
nell’immediato dopoguerra per accogliere gli agenti della Cia operativi in
Italia. Il più noto era Frank Gigliotti, calabrese emigrato negli States.
Anche Binni ha chiuso alcune logge degli Alam in
Sicilia, per questioni amministrative: non pagavano le quote in polemica con il
Gran Maestro.
È un bilancio striminzito e, in materia di
giustizia massonica, Di Bernardo ha confermato all’Antimafia che la condanna è
un caso straordinario. In genere, si censura, magari si sospende. «Alla fine,
tutti assolti». Le due eccezioni note sono quelle di Gelli, cacciato dopo lo
scandalo P2 con un processo giudicato sommario e scorretto dallo stesso Di
Bernardo, e Amerigo Minnicelli da Rossano (Cosenza), promotore di una lettera a
Raffi nell’ottobre 2011 dopo l’inchiesta penale Decollo Money (riciclaggio e
narcotraffico fra Italia e San Marino), che coinvolgeva l’imprenditore massone
calabrese residente in Umbria Domenico Macrì.
A fine gennaio Minnicelli ha consegnato
all’Antimafia la lettera, firmata da altri trenta fratelli dissidenti rispetto
alla gestione del numero uno regionale Marcello Colloca. L’Espresso ha potuto leggerla.
Nella lista delle richieste a Raffi, che includono la consegna delle liste alla
Direzione distrettuale antimafia, risalta il punto 3: «Non accada che i
fratelli vengano “risvegliati” in Orienti diversi da quelli di loro
provenienza».
Tradotto in linguaggio profano, si sottolinea la
fluidità eccessiva nei passaggi da una loggia all’altra di iniziati che hanno
avuto problemi con la giustizia ordinaria o massonica. Né è pensabile che gli
agenti segreti della Colosseum si siano iscritti alla bocciofila di quartiere
dopo l’abbattimento della loggia da parte di Di Bernardo.
L’ex Gran maestro del Goi e della Gran loggia
regolare d’Italia, unica riconosciuta dalla Gran Loggia Madre di Inghilterra
fondata tre secoli fa (1717), è uno dei quattro testimoni-chiave della Procura
di Reggio Calabria, guidata da Federico Cafiero de Raho, nella sua inchiesta
per associazione segreta ribattezzata Gotha dopo l’unificazione di cinque
procedimenti (Fata Morgana, Araba Fenice, Sistema Reggio, Rhegion e
Mammasantissima). Gli altri quattro sono tre collaboratori di giustizia
siciliani: Tullio Cannella, Gioacchino Pennino e Antonio Calvaruso, che ha
indicato il boss Leoluca Bagarella come uno dei pochissimi in Cosa nostra a
conoscere la componente apicale segreta, e unificata, del crimine
calabro-siculo infiltrato nei templi dei liberi muratori.
Di Bernardo, 76 anni, è stato pubblicamente
criticato dal successore Venzi per non avere tentato di ripulire il Goi
dall’interno. Di sicuro ha molto da rievocare dei suoi 55 anni di militanza
frammassonica. Ne ha dato prova all’antimafia parlando di un fallito traffico
d’armi con il presidente del Togo, che al tempo era Gnassingbé Eyadéma, massone
come molti leader della cosiddetta Françafrique. Il business sarebbe stato
gestito dal suo predecessore alla guida del Goi. In audizione Di Bernardo non
lo ha mai nominato ma è Armando Corona, il professionista cagliaritano chiamato
a guidare il Grande Oriente dopo lo scandalo P2.
Corona è scomparso nel 2009, quattro anni dopo
Eyadéma. Ma i Fratelli d’Italia sono spesso coltelli, da vivi e da morti.
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